
BOLOGNA – Janine Jansen non è certo una debuttante, anche se supera appena la trentina. Grande interprete lo è senza dubbio e insieme a Paavo Järvi chiude la sessione primaverile del Bologna Festival con un concerto che rende omaggio a Gustav Mahler, nel centenario dalla morte, e a Dmitrij Shostakovich: Sinfonia n.5 dell’austriaco e Concerto n.2 per violino e orchestra del russo. Per un risultato vigorosamente volumetrico.
Composto, come il primo e più virtuosistico Concerto in la minore op.77, pensando all’agile perizia dell’amico Dodik (David Oistrach), questo secondo lavoro per violino non è meno impegnativo del precedente. E Janine Jansen mostra tutto il suo rigoglio giovanile nell’interpretare le sonorità già mature del compositore sovietico.
La Jansen esordisce a soli diciannove anni e poi si afferma definitivamente sulla scena internazionale nel 2002 a Londra con Ashkenazy e la Philarmonia Orchestra. Da allora non si è più fermata. Merito del suo talento, che le consente di padroneggiare un ampio repertorio che spazia dall’imprescindibile Bach ad Arvo Pärt, da Mozart a Britten e Bernstein.
È una virtuosa passionale, a giudicare dal suo gesto: robusto, netto, particolarmente efficace quando si tratta di Shostakovich. Un approccio quasi istintivo, ma naturalmente vigoroso ovvero gagliardo; il che non toglie nulla alla scioltezza, quella necessaria ad affrontare le linee spezzate, i rapidi cambi di registro o la polifonia del breve passo interamente solistico del primo movimento (Moderato), quasi una piccola cadenza. Il secondo tempo (Adagio) è sinceramente intimo nella scelta dell’intensità sonora e come tutto il Concerto emerge spontaneamente partecipato. Brillante e spigliato, ma sempre possente il terzo movimento (Adagio-Allegro) e conclusivo, il più arduo ad eseguirsi.
Paavo Järvi accompagna con molta cura e il risultato è davvero eccellente. Ed è, appunto, il direttore estone adottato americano ad essere protagonista, insieme alla Radio-Sinfonie Orchester Frankfurt che dirige con successo dal 2006, della lunga seconda parte del concerto.
Paavo è il primo dei tre figli (tutti abili musicisti) di Neeme Järvi. Come si dice: buon sangue non mente. La passione per la musica e la sensibilità sapiente si sono trasmesse per molte generazioni nella famiglia, fino a quest’ultima.
Tutte le sinfonie di Mahler sono incommensurabili, quasi prometeiche nella concezione, nella ricerca, nell’aspirazione e nel risultato sonoro. Affrontare la loro esecuzione richiede una riflessione peculiare, perché la ricchezza degli elementi appare troppo vasta, a tratti disarmante. Il pregio più grande di questa interpretazione della Quinta è quella attenzione che riesce a far apprezzare la complessità del pensiero di Mahler nel suo continuo, tormentato fluire alla ricerca della perfetta espressione di quel mondo ideale spesso immaginato, mai vissuto, sempre anelato.

I corni, grandemente protagonisti della sinfonia insieme a tutti i fiati, a cominciare dalle trombe della Marcia iniziale, possiedono davvero la precisione teutonica. Il volume sonoro è impressionante, la sua intensità realmente appuntita, a tratti lancinante. Il gesto di Paavo Järvi è estremamente puntuale nel suggerire attacchi e sfumature, trasparente e niente affatto enfatico; tutto ciò che il pubblico sente lo si può vedere anticipato nelle movenze di questo direttore dal portamento severo e dal cenno solido.
Laura Bigi