
Il prestigioso gruppo vocale ha inaugurato il festival Traiettorie con un repertorio tutto novecentesco. In programma anche A-Ronne di Luciano Berio
di Simeone Pozzini
MUSICA È TUTTO CIò CHE SI ASCOLTA CON L’INTENZIONE di ascoltare musica, affermava Luciano Berio in un libro-intervista curato da Luciana Dalmonte. Perché ci sono composizioni nelle quali quali la musica in senso stretto è poca, e il capolavoro A-Ronne appartiene a questa categoria. Ah, è sempre Berio che lo dice (conferenza del 1983 in Sala Vanni a Firenze, ora in Berio, EDT, a cura di E. Restagno). L’altro giorno il gruppo Neue Vocalsolisten di Stoccarda ha dato dell’opera di Berio una strepitosa e personale (poi vedremo perché) lettura all’inaugurazione del festival Traiettorie di Parma diretto da Martino Traversa, in un concerto dedicato all’antico tema del rapporto parola–suono. Indagine, questa, da sempre al centro dell’atto creativo nella musica vocale: si parte dalla musica o dal testo? Ma il Novecento aggiunge nuovi punti di vista, nuove dimensioni e relazioni di significati (questo è tanto più vero in A-Ronne, su testo originale di Edoardo Sanguineti) tra testo e musica.

Ed ecco quindi sul palco del magnifico restaurato Teatro Farnese uno spaccato novecentesco che ha visto in programma nella prima parte Scriptura antiqva di Josè Marìa Sànchez-Verdù, una composizione scritta nel 2010-11, su testi tratti da epitaffi latini (prima esecuzione italiana). Il titolo non deve trarre in inganno, poiché di “antico” ci sono solo i testi, epigrafi funerarie per quello che è definito da Giuseppe Martini «studio di colori, di suoni calibratissimi, di gemiti sensuali, di bisbiglii scintillanti». Infra (2008) del tedesco Andreas Dohmen (1962) per cinque voci è una composizione che indaga la vocalità spesso al limite del silenzio e con improvvise connotazioni teatrali: i cantanti sulla parola “fortuna” (il testo è tratto dal Sonetto 189 del Petrarca) cominciano a girare in modo asincrono su se stessi. Vittriol (2005) del greco-francese Georges Aperghis (1945) è un omaggio al pittore Adolf Wölfli, esponente di spicco dell’Art Brut svizzera, ma emarginato e finito in manicomio. La composizione inizia con una serie di brusii, quasi voci interiori interrotte da figure omoritmiche appena accennate, e prosegue in un sommo scandaglio del testo.

I Neue Vocalsolisten con il loro timbro così omogeneo, cristallino, pulito da sala operatoria dalla quale si esce però carichi di umano calore, si confermano come uno dei più importanti gruppi di musica vocale non solo novecentesca. In “A-Ronne” oltre al dominio tecnico c’è un lavoro originale di azione scenica. Già, perché la composizione di Berio, trentadue minuti che soffiano velocissimi, non nasce per le sale da concerto bensì per la radio olandese di Hilversum, nel 1974. Si tratta di un documentario sonoro su una poesia di Sanguineti, che rielabora testi di Goethe, Dante, San Giovanni, Lutero e il Manifesto del Partito Comunista.
In A-Ronne, documentario per cinque attori su una poesia di Sanguineti, c’è poca musica ma i criteri che lo organizzano sono musicali: a volte essi svolgono le funzioni di una macchina da presa che, invece di esplorare un soggetto o una situazione da diversi angoli e con lenti diverse, esplora una poesia.
Quindi la musica non soggiace al testo o viceversa, siamo in presenza di un flusso continuo nel quale gli elementi della composizione sono metamorfici e si ridisegnano vicendevolmente. Pagina che dopo 37 anni dalla sua creazione si rivela ancora oggi in tutta la sua freschezza compositiva: è solida, divertente, attuale, piaciuta moltissimo al pubblico. I Neue Vocalsolisten, bravissimi anche come attori, hanno utilizzato il Teatro Farnese come laboratorio per spazializzare il suono: tanto è stato forte il loro magnetismo che è bastato qualche passo, dal palco alle gradinate, perché l’immenso teatro d’abete rosso del Fiuli sembrasse improvvisamente piccolo, tutto nelle loro voci.