Sotto questo titolo il 21 ottobre la Fondazione Orchestra Sinfonica Siciliana ha inaugurato il ciclo di concerti dedicati a grandi opere composte per questo affascinante strumento. Saranno cinque gli appuntamenti, sparsi nell’arco di tutta la stagione 2011/2012 e cinque i virtuosi protagonisti: Shlomo Mintz, Salvatore Accardo, Anna Tifu, Uto Ughi e Vladimir Spivakov con concerti per violino e orchestra di Beethoven, Paganini, Bruch e Mozart.
Venerdì 21 il Politeama Garibaldi si è riempito di pubblico di ogni età, in attesa del violinista israeliano Shlomo Mintz che, come egli stesso racconta nella nostra intervista, è ritornato a Palermo dopo ben 25 anni dal suo primo recital nel capoluogo siciliano (in realtà è stato a febbraio 2011 al Teatro Massimo e negli anni scorsi ospite della Sinfonica Siciliana e degli Amici della musica, ndr). Questa volta l’artista ha affrontato un doppio compito, di solista e direttore, in un programma tanto impegnativo quanto conosciuto dal pubblico musicofilo. L’idea di suonare e dirigere contemporaneamente non è nuova, ma non per questo meno interessante, in quanto offre al solista il vantaggio di poter interpretare le composizioni in maniera del tutto personale. È stata comunque una sfida da sottolineare nel caso del Concerto in re maggiore per violino e orchestra op. 61 di Ludwig van Beethoven (1806), la carica drammatica e l’intimità del quale sfiorano la poetica del nascente Romanticismo.
Il canto del violino solista inizia dopo una lunga introduzione orchestrale, risultata un po’ timida a causa dell’evidente insicurezza dell’orchestra nel primo movimento (Alegro ma non troppo). Il motivo sembra risiedere nella grandezza dell’organico strumentale, che avrebbe richiesto piuttosto una guida costante, impossibile da sostenere dal solista mentre egli stesso suonava. L’orchestra, infatti, riprendeva la vitalità non appena il violinista ritornava a dirigere. La situazione è migliorata notevolmente nei successivi movimenti (Larghetto e Rondò) riportando la giusta attenzione ai colori della partitura di Beethoven, ai contrasti dinamici e al carattere particolarmente eroico della musica. È stato sorprendente, invece, con quale abilità il violinista sia ritornato dalla direzione ai frammenti di assolo e viceversa, portando avanti un filo interpretativo conseguente.
Mentre era in posizione frontale verso il pubblico, dirigeva con le spalle, con la testa e con entrambe le braccia, mantenendo fermo il ritmo e il tempo dell’esecuzione. Nonostante i problemi iniziali dell’insieme, Shlomo Mintz incantava con il suono cristallino nel registro acuto del suo violino e sorprendeva con toni “ruvidi” in quello grave, il cui colore cupo risuonava anche nel registro grave dei violoncelli. Lo strumento dal timbro nostalgico, lontano, ma in assoluta simbiosi con il suo padrone, ha fatto sembrare comode le più ardue agilità. Le lunghe cadenze virtuosistiche hanno fatto cadere un silenzio assoluto nel pubblico, che ha risposto con un lungo applauso dopo la conclusione del Concerto.
La Sinfonia n. 4 in re minore op. 120 di Robert Schumann (1841; rev. 1851) è stata più omogenea ed è riuscita meglio nel suo complesso. La composizione romantica di animo turbato, a volte misterioso, ha visto l’esplosione dell’espressività nell’orchestra, che ha acquistato volume e sicurezza. Mintz ha deciso di non separare i movimenti tra di loro, il che, vista la somiglianza dei temi in diverse parti della sinfonia, ha destato l’impressione di un continuo ritornare degli stessi motivi. Qui l’orchestra ha potuto esprimersi maggiormente, mostrando un importante ventaglio di timbri, tra cui spiccavano quelli di ottoni e legni. Anche in questo caso Mintz ha espresso le sue doti interpretative, eseguendo la sinfonia ininterrottamente senza mai perdere la tensione. Da notare l’importanza che il direttore attribuisce al registro grave degli archi, che ha dato un buon sostegno alla struttura armonica di entrambe le composizioni in programma.
Monika Prusak