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Prima esecuzione di 33 Veränderungen über 33 Veränderungen al Konzerthaus di Berlino, composizione cameristica dedicata ad Alfred Brendel
di Barbara Babic
BERLINO – In principio fu una “Schusterfleck”, letteralmente “pezza da calzolaio”, termine con cui Beethoven si riferiva alla mediocrità del valzer di Anton Diabelli. Poi, per mano dello stesso compositore tedesco, divenne il tema principale attorno a cui costruire le celebri “33 Variazioni su un valzer di Diabelli” op. 120 (1823). Oggi, calato nella contemporaneità questo grandioso testamento pianistico beethoveniano è diventato il motivo principale e scatenante della nuova opera del compositore e direttore d’orchestra tedesco Hans Zender “33 Veränderungen über 33 Veränderungen”, presentata in prima esecuzione assoluta il 9 novembre al Konzerhaus di Berlino all’interno della rassegna “Aus zweiter Hand – Transkriptionen in der Musik” (dal 4 al 13 novembre). Esecutore d’eccezione della serata è l’Ensemble Modern: fondato nel 1980 e con sede a Francoforte sul Meno è costituito da diciannove musicisti che gestiscono in completa autonomia numerosi progetti artistici (teatro musicale, concerti, coproduzioni, commissioni) esclusivamente nell’ambito del repertorio contemporaneo. A dirigere l’ensemble è Peter Hirsch, direttore da sempre attento alla diffusione e promozione della Neue Musik, che annovera tra le sue molte prime esecuzioni assolute opere di Lugi Nono, Helmut Lachenmann, Bernd Alois Zimmermann e lo stesso Hans Zender.
“33 Veränderungen über 33 Veränderungen”, opera commissionata dall’Ensemble Modern, dal Konzerthaus di Berlino e dall’Opera di Francoforte, è dedicata a «Alfred Brendel come testimone della grande vitalità della tradizione e all’Ensemble Modern come interprete della grande vitalità della modernità». Proprio l’incontro tra tradizione e contemporaneità, il plasmare e modellare opere già esistenti, il ripensamento del passato in chiave moderna sono temi assai ricorrenti nella produzione di Zender: vanno ricordate in questo senso le opere Dialog mit Haydn per due pianoforti e tre gruppi orchestrali (1982), la trascrizione per orchestra di cinque Preludi di Debussy (1991), una versione orchestrale del Winterreise di Schubert (1993), e la Schumann-Phantasie (1997).
L’ascoltatore che teme la distruzione del capolavoro beethoveniano trova conforto già nel titolo dell’opera: sebbene il termine Veränderung (già preferito da Beethoven al più ‘debole’ Variation) definisca di fatto una ben più radicale trasformazione, trasfigurazione del materiale musicale, il sottotitolo «eine komponierte Interpretation» mitiga gli intenti iconoclasti. Non bisogna aspettarsi quindi un totale stravolgimento della partitura originale poiché il motto di Zender, autore evidentemente più incline al dialogo con il passato che ad una rottura con esso è: «anche l’imitatio può diventare una productio».
L’atto del compositore tedesco di ‘ripescare’ dal passato le Variazioni-Diabelli di Beethoven è rappresentato figurativamente proprio all’inizio dell’opera, quando ancora prima del famoso tema di valzer, si sente un fruscìo prodotto dalle percussioni, quasi a voler simboleggiare il rumore di un vecchio disco di vinile messo sul piatto. Si emancipa poi il valzer diabelliano proposto dagli archi (portatori dei temi più fedeli all’originale beethoveniano), interrotto da interventi a singhiozzo di fiati e percussioni.
Come spiega il compositore nel denso libretto di sala, punto focale della composizione è la questione timbrica: per Zender il passaggio dalla monocromia del pianoforte alla policromia dell’ensemble non può trovare soluzione nella scelta del singolo strumento ma piuttosto deve trovarla «nella proiezione dello spettro di uno strumento sull’altro, nel rimodellamento del materiale attraverso i mezzi dell’armonia, degli intervalli, degli accostamenti timbrici». Così, ad esempio, nella Variazione XXXII (Fuga) le percussioni (in modo particolare le campane tubolari e i gong) creano l’effetto del suono di un Glockenspiel, mentre la Variazione XXIV (Fughetta) viene esposta dagli archi (di nuovo portatori della tradizione) assieme alla fisarmonica, creando un timbro molto simile a quello di un organo.Il punto forte della composizione di Zender sta nell’alternare momenti in cui i temi sono molto riconoscibili a episodi in cui la partitura originale viene per così dire ridotta all’osso e presentata in chiave ritmico-percussiva. L’ascoltatore è in grado quindi di seguire con continuità l’evolversi del discorso musicale, di riconoscere i temi e di godere delle caricature di Beethoven attraverso l’opera rivisitata del compositore tedesco. Con una buona dose di ironia Zender strizza l’occhio al pubblico ed eleva all’ennesima potenza il concetto di variazione: è un pianoforte, da dietro il palco, ad intonare la melodia del minuetto della trentatreesima variazione e così, accompagnato dagli archi e dai fiati ‘borbottanti’, questo ultimo episodio si trasforma in una sorta di breve concerto per pianoforte e orchestra.
Dieci meritatissimi minuti di applausi per l’eccellente ensemble, per il preciso ed appassionato direttore d’orchestra e per il compositore (in sala per l’occasione). Un concerto che avrebbe sicuramente meritato un pubblico più numeroso.
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