A colloquio con il vincitore del 62° Concorso Internazionale Giovan Battista Viotti
Classe 1980, originario di San Pietroburgo, già secondo premio al ‘Busoni’ ed ivi nel 2009 laureato come migliore interprete per la musica contemporanea, Alexey Lebedev sabato 29 ottobre è risultato vincitore della 62° edizione del Concorso Internazionale ‘Giovan Battista Viotti’. Solidi studi, tecnica eccellente, dita d’acciaio ed una particolare curiosità per le esplorazioni a tutto campo del repertorio tastieristico, ha già al suo attivo svariati riconoscimenti (finalista ai concorsi ‘Canals’ di Barcellona, ‘Iturbi’ di Valencia, ‘Michelangeli’ di Perugia, ‘Schostakovich’ di San Pietroburgo e ‘Scriabin’ di Parigi) nonché la partecipazione ad innumerevoli festival e manifestazioni di prestigio di respiro internazionale (sul suo sito www.alexeylebedev.com i dettagli e molti i video di youtube che ne evidenziano le non comuni doti interpretative).
Incontriamo il maestro Lebedev, che ora vive ad Hannover, in quel di Casale Monferrato, dove mercoledì 2 novembre, espressamente invitato dalla direzione artistica, ha tenuto il primo recital dopo il concorso ‘Viotti’, presso la blasonata ed arcaica Accademia Filarmonica che quest’anno riprende, dopo una breve interruzione, la consolidata tradizione di ospitare per l’appunto il vincitore del celebre Concorso intitolato al settecentesco violinista originario di Fontanetto Po, lungamente attivo a Parigi. È ormai notte fonda, la serata s’è infatti protratta a lungo, dacché c’è stata anche la nomina ad accademico ad honorem della pianista torinese (over 95) Maria Angiola Vaira Fogola, madrina della serata e, soprattutto, visto che il programma predisposto da Lebedev spaziava da Scarlatti a Kurtág, passando per Bach, Haydn, Chopin, Liszt e De Falla, insomma un programmone, apprezzato ed applaudito dallo scelto pubblico casalese. E così, complice la tranquillità notturna dei vasti saloni di rappresentanza di Palazzo Gozani di Treville dal coreografico scalone, ci attardiamo in compagnia del maestro che parla un fluente inglese (oltre al tedesco ed al russo, s’intende).
Tre autori in programma – Scarlatti, Bach e Haydn – la cui produzione tastieristica nacque per il cembalo o al più per il fortepiano. Come riproporli al pianoforte oggi?
«Cercando di sfruttare al meglio le potenzialità del moderno strumento che dispone di una letteratura vastissima, ma che, si sa, non è solo lo strumento del Romanticismo, parte dai clavicembalisti ed arriva ben oltre, al ‘900». Lebedev cita le molte pagine pianistiche di Schostakovich come pure il pianoforte di Stockhausen, tutti sperimentatori ad oltranza che al pianoforte dedicarono brani di notevole spessore. E non a caso Lebedev che dichiara di amare gli accostamenti di antico e moderno, suona Scarlatti (le popolarissime «Sonate L 23» e «L 104») con gusto e proprietà, senza disdegnare però il pedale, sfoderando poi una singolare nitidezza di suono ed una indicibile brillantezza nella haydniana «Sonata in la bemolle maggiore Hob. XVI: 46». Quanto a Bach, il pubblico ha potuto valutarne l’approccio dinanzi alla vasta ed impegnativa «Fantasia cromatica e Fuga in re minore BWV 903» nella fastosa versione di Busoni, che Lebedev ha interpretato puntando su rotondità di suono ed effetti quasi organistici, se non addirittura orchestrali, rivelandone aspetti in parte inediti. Una scelta ben precisa e invero non priva di fascino anche se magari contro corrente rispetto a certe esecuzioni assai più asettiche (e filologiche).
Accostamenti intriganti ed inconsueti quelli in programma stasera, per dire, Scarlatti e Kurtág…
«Suonare i pezzi di Kurtág dal singolare fascino timbrico, debitore a certo Messiaen in accostamento al geniale Scarlatti, permette di rivelare l’originalità ed anche la modernità specie sotto il profilo armonico del musicista napoletano…».
E infatti l’accostamento ravvicinato dell’«Hommage à Beatrice Stein» come pure del poetico e sognante «Geburtstagsgruss für Nuria» di Kurtág alle citate pagine scarlattiane è risultato illuminante. Poi c’è stato Chopin (due «Mazurke» dall’op. 24 e lo «Studio op. 25 n° 10» dalle granitiche ottave), quindi un hommage a Liszt, il delizioso «Valse Improntue in la bemolle maggiore» dalle salottiere immagini non lontane dalle due «Valses oubliées». In chiusura la «Fantasía bética» di De Falla.
Si sente la lezione di Debussy come pure quella di Ravel in questa superba Fantasia, vero maestro?
«Certamente, De Falla aveva studiato a Parigi e la musica francese è presente in questo capolavoro». Capolavoro che Lebedev affronta con grande potenza sonora, privilegiando gli aspetti pirotecnici e lussureggianti, rispetto ai passi maggiormente scarni, mettendo in luce però la ‘pulizia’ dei ribattuti e dei molti passaggi ispirati al folklore andaluso.
Il sogno nel cassetto?
«…suonare il più possibile e suonare tutta la letteratura tastieristica, a 360 gradi, approfondendone i vari aspetti…».
Proporre autori così distanti cronologicamente e stilisticamente non è facile, né per l’interprete, né per il pubblico…
«Sì, certo la difficoltà maggiore ogni volta è quella di trovare l’approccio giusto per ogni autore singolo… ricreare i vari stili nella stessa serata… richiede concentrazione… massima, anche da parte del pubblico… come no…»
Autore prediletto?
«Non ho un autore preferito, non esiste il numero uno…» sorride sornione, allargando le braccia, come a dire che l’imbarazzo della scelta è enorme. E vien da pensare ai molti interpreti che – in maniera simpaticamente provocatoria – affermano di amare più di ogni altro l’autore che stanno suonando (o studiano) in quel preciso istante. Ci pare di capire che sia così anche per Lebedev.
Da ultimo: lei dedica parte del suo tempo anche alla didattica. Questa sera erano in sala alcuni giovani, un’allieva di Conservatorio, in particolare che l’ha molto ammirata, ma non ha osato avvicinarla ed ora è fuggita… Quale consiglio a un giovane pianista?
«Studio, esercizio continuo, molto esercizio, ma, prima ancora ascolto: ascoltare e cercare di riprodurre, di trovare il bel suono, il suono adatto ad ogni autore, un suono che va ‘sentito’ metabolizzato interiormente prima ancora che riprodotto». E poi tecnica, tecnica, tecnica…(practice, practice)» ripete con insistenza.
Ci lasciamo alle spalle il pesante portone di Palazzo Gozani di Treville e percorriamo l’acciottolato di via Mameli per raggiungere l’auto. Il silenzio della cittadina del Monferrato è pressoché totale. Ma nelle orecchie risuonano ancora i ritmi mediterranei della «Fantasía bética» e in luogo dell’odore della notte umida, non lontano dalle sponde del Po, ci pare di percepire gli aromi mediterranei delle «Noches en los jardines de España».
Attilio Piovano