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Il direttore d’orchestra francese alla guida dell’Orchestra Haydn con un programma molto raffinato. Alexander Lonquich solista nella Burleske di Strauss
di Emilia Campagna
Delius, Fauré, Strauss e Respighi nella Wunderkammer delle rarità dell’Orchestra Haydn: in una tripletta tra Bolzano, Trento e Merano l’orchestra regionale trentina sciorina un impaginato raffinatissimo e per nulla prevedibile, che gioca con i languori fin de siècle e con il pathos melodico sospeso sull’orlo della dissonanza novecentesca. Concerto diretto dalla bacchetta gioiosamente imperiosa di Yves Abel, impreziosita da un solista come Alexander Lonquich, la data trentina era di quelle che girano bene, con orchestra compatta, tesa all’esecuzione precisa, mai sfilacciata, coloratissima di timbri.

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Programma per certi versi leggero ma non troppo, grazie a una direzione che non indulgeva mai alla retorica più facile: “Summer night at the river” di Delius era un palpito, affidato prima ai fiati – sezione morbida come nelle migliori serate – poi con discrezione al corpo esteso degli archi: e un Abel misuratissimo seguiva il prezioso svolgersi di una partitura fatta principalmente di delicatezza; così come la delicatezza riservata, l’espressione accorata ma contenuta addomesticavano certi wagnerismi di “The walk to the Paradise Garden” dal “Romeo and Juliet” dello stesso Delius.
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Tra languore (Delius) e spensieratezza (Respighi) stava il dittico Fauré–Strauss con Alexander Lonquich
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Dove invece la retorica si sfogava allegramente era la “Boutique Fantasque” di Respighi, splendido e vitalissimo modello di pastiche: temi rossiniani, ma dai senili e irresistibili “Péchés de vieillesse”, trascritti per un’orchestra caleidoscopica primo novecentesca (con spolvero di fiati, percussioni, celesta a dare ricchezza e minuzia al colore timbrico), destinati agli spettacoli dei ballerini di Diaghilev.

Oggi raramente eseguita, la Suite tratta dal balletto è una rutilante parata di ritmi e danze, dalla Tarantella alla Mazurka, ebbra di allegria incosciente: ottima esecuzione, anche se il Galop conclusivo, dopo un Valzer Lento giustamente sentimentale, poteva essere spericolato e invece era alquanto prudente, mancando così l’effetto speciale di un finale col botto.
Tra languore (Delius) e spensieratezza (Respighi) stava il dittico Fauré–Strauss con Alexander Lonquich solista al pianoforte: di nuovo due pagine di non frequente esecuzione, l’una, la Ballade di Fauré, a rischio di stucchevolezza – rischio scampato dall’esecuzione calibrata di un Lonquich che oltre la tecnica e l’intelligenza resta un autentico mago del suono – l’altra, la Burleske di Strauss, decisamente notevole, spavaldamente cavalcata da un Lonquich in ottima forma, a perfetto agio nella struttura “scomposta” e quasi schizofrenica del pezzo.
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