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L’opera di Beethoven, unico lavoro teatrale del compositore e manifesto sulla giustizia, ha inaugurato la stagione d’opera 2011-12 del teatro torinese. Mancava dal 1984
di Attilio Piovano
Successo personale di Gianandrea Noseda che venerdì 9 dicembre ha diretto al Regio di Torino «Fidelio», opera inaugurale della stagione 2011/2012: stagione che in realtà si era aperta con ben tre produzioni di balletto di alto livello con il Mariinskij. Molte le autorità presenti, tra cui anche il neo Ministro la torinese Elsa Fornero. Successo di uno spettacolo – questo «Fidelio» presentato in un nuovo e validissimo allestimento in co produzione con Opéra Royale de Wallonie (Liegi) – che ha potuto contare sull’acuta e penetrante regia di Mario Martone, sulle scene davvero funzionali di Sergio Tramonti e soprattutto su un cast di alto livello; belli i tradizionali, sobri e pur efficaci costumi ideati da Ursula Patzak. Che si sarebbe trattato di una serata d’eccezione lo si è compreso fin dall’Ouverture affrontata da Noseda con mano sicura e ritmi incisivi (ha scelto, molto opportunamente di non eseguire la stupenda «Leonora n° 3» dal notevole peso sinfonico e come tale preferibile in sede concertistica sì da conferirle tutta la sua rilevanza, bensì di proporre la concisa ed efficace versione allestita per le riprese del 1814).

Ritmi giusti, scorrevolezza, spessore sinfonico, colori appropriati, il tutto assecondato da un’orchestra in gran forma. Poi l’apertura del velario su una scena giustamente cupa, a designare l’interno del cortile della prigione, con tanto di torre di guardia (vagamente memore di lager, e dunque atta a conferire qualche brivido in più) con portone al centro, scale e camminamenti e con baracca illuminata sulla destra. E subito il duetto sbarazzino del deforme Jaquino, stolido guardiano della prigione (il valido tenore Alexander Kaimbacher) e della gaia Marzelline, l’ottima Talia Or che subito ha sfoderato una vocalità appropriata, rendendo al meglio la psicologia del personaggio, convincendo appieno nell’affettuosa aria «Oh s’io fossi già a te unita» in cui rivela il suo nascente amore per il ragazzo Fidelio. La sciolta lettura di Noseda coglieva bene il senso di questa scaramuccia tra i due personaggi che hanno toni di trasparenza mozartiana. Poi subito la tenerezza e l’amore paterno dilagavano ed erano palpabili nel quartetto, sicché ai due citati si sono uniti il capo carceriere Rocco dal cuore grande e dai solidi principi morali (a dar voce al personaggio dalla forte humanitas Franz Hawlata) e la vera protagonista, Leonore impersonata da Ricarda Merbeth. Franz Hawlata ha saputo subito mediare tra toni popolari, non immemori delle maniere del Singspiel settecentesco, e credibilità morale nell’aria «Hat man nicht auch Gold beineben». Grandi emozioni nel terzetto appassionato in cui Rocco di fatto propizia l’amore («Datevi la mano») e, soprattutto, grandi emozioni nel passo in cui Fidelio (alias Leonora) s’informa con toni accorati del prigioniero.
L’arrivo della ronda dei soldati, si sa, è salutata da una musica che riprende i toni militareschi prossimi a certi passi – per dire – dei «Concerti per pianoforte», musica in guisa di marcia ispirata a topoi ‘rivoluzionari’ (come già il Mozart del «Concerto K 503»), con tanto di timpani e ritmi icastici. Lucio Gallo, alla sua entrata in scena, ha subito sbozzato il personaggio del malvagio Pizarro, assecondando i toni concitati della partitura densa di colori cupi e minacce di vendetta ben raccolte dallo sconcerto degli astanti.
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Date Rappresentazioni
Venerdì 9 Dicembre 2011 – 20.00 – Turno A
Sabato 10 Dicembre 2011 – 20.00 – Turno Regione 2
Domenica 11 Dicembre 2011 – 15.00 – Turno C
Martedì 13 Dicembre 2011 – 20.00 – Turno D
Mercoledì 14 Dicembre 2011 – 15.00 – Turno Pomeridiano 2
Giovedì 15 Dicembre 2011 – 20.00 – Turno B
Sabato 17 Dicembre 2011 – 20.00 – Turno Regione 1
Domenica 18 Dicembre 2011 – 15.00 – Turno F
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Direzione
Direttore d’orchestra
Gianandrea Noseda
Regia
Mario Martone
Scene
Sergio Tramonti
Costumi
Ursula Patzak
Luci
Nicolas Bovey
Assistente alla regia
Paola Rota
Assistente alle scene
Luigi Ferrigno
Assistente ai costumi
Sara Marcucci
Maestro del coro
Claudio Fenoglio
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Ottima la prova fornita dal coro istruito da Claudio Fenoglio. Quanto a Ricarda Merbeth ha giganteggiato nell’aria «Vieni speranza» dai toccanti accenti, preceduta da un drammatico recitativo dai toni gluckiani. La scena dell’apertura delle celle ed il coro dei prigionieri che assaporano la luce e la gioia dell’aria aperta fa sempre un grand’effetto, e così è stato ieri sera al Regio, grazie alla superlativa prova del coro ed al sapiente gioco delle luci (firmata da Nicolas Bovey) che illuminavano la scena di toni chiari, in perfetta sintonia con il radioso schiudersi della partitura su luminose armonie memori dello Haydn della «Creazione»; ma con echi anche di corali luterani, insomma tutto un mondo (tedesco), tutto il portato di una tradizione secolare che confluisce stupendamente in questo passo sublime del «Fidelio». Poi la ventata di gioia che trascorre subito in palcoscenico e si trasmette al pubblico quando Rocco comunica il placet di Pizarro alla richiesta di poter introdurre Fidelio nelle segrete dalle carcere. E la conclusione del primo atto è stata tutto un crescendo di pathos, con quei ritmi pulsanti e quella tramatura sinfonica che pare uscita da una costola di «Settima» e «Ottava Sinfonia», ma con il tormento interiore di Rocco, egli infatti sa che non potrà uccidere e la gioia dei prigionieri che va scemando dopo l’ordine di rientrare nelle celle («Addio calda luce del sole»). Da rimarcare l’ottima regia che ad esempio ha sottolineato il gesto vile di Jaquino: con una delazione fa sì che il gesto magnanimo di Rocco venga vanificato. E allora il suo incedere appare ancora più ripugnante e Marzelline gli si avventa contro: dettagli, ma nemmeno troppo piccoli, che hanno conferito spessore psicologico al tutto.

A lungo procrastinata ad arte, l’apparizione di Florestan, in apertura del second’atto, è uno di quei passi epocali che hanno fatto storia. In realtà, al Regio, di Florestan si vedevano le sole mani aggrappate ad una pesante grata sul lato sinistro del proscenio, immaginario accesso alle segrete, o più propriamente alla cella che emana già sentore di morte. E così – grazie anche alla posizione avanzata sul proscenio, dunque favorevolissima all’emissione vocale – la sortita di Florestan dalle impervie difficoltà è parsa ancor più possente e la voce ben timbrata di Ian Storey ha regalato intensa emozione, amplificata da quelle pulsazioni in orchestra allusive all’aria pura agognata («non sento forse un’aria soave, un dolce sussurro»), quasi presagio del futuro ed insperato incontro con Leonore. Molto bene il toccante dialogo tra Florestan e Leonore e nella gratitudine espressa dal prigioniero («Sarete ricompensati in un mondo migliore») si sentiva tutta la fiducia di Beethoven nella possibilità per l’umanità di riscattarsi, più ancora: di redimersi, quella stessa fiducia in un mondo migliore alimentata da ideali etici, kantiani, tutta quella filantropia schilleriana che si respira a pieni polmoni nel finale della «Nona».
Exemplum di innegabile attualità, a maggior ragione in questi nostri tempi bui di crisi dei valori
Attesissimo il momento della cosiddetta agnitio, il riconoscimento, il momento in cui Leonore sciogliendo la capigliatura si disvela. E da lì si intuisce che le cose ormai si mettono al meglio, anche se – occorre ammetterlo – questo finale, così come concepito da Beethoven, pur dopo mille travagli, convince solo in parte per il venire meno in certi punti della tensione, per una sua eccessiva dilatazione: una maggior concisione forse avrebbe giovato, ma non è questo il punto. Noseda, regista (che muove assai bene le masse) e cantanti unitamente al coro hanno conferito al finale il giusto pathos. Un dettaglio: quando nuovamente la scena si illumina ed il perfido Pizarro con l’arrivo del ministro Don Fernando (Robert Holzer) viene smascherato, Jaquino ricopre la cisterna, ripone la terra e le pietre smosse, un gesto come a dire che si ristabilisce finalmente e razionalmente l’equilibrio dopo molta sofferenza: molto efficace, davvero. Così come efficace è parsa la disperazione di Marzelline, il suo correre sulla scena che fa da contraltare alla gioia incontenibile della coppia Florestan / Leonore, (giù giù sino al suo sprofondare nella cella, quasi gesto disperato seguita dall’amorevole padre).
![Fidelio3 [399]](http://www.ilcorrieremusicale.it/wp-content/uploads/2011/12/Fidelio3-399.jpg)
E ancora, il senso della catarsi finale con uomini e donne che depongono simbolicamente catene e ceppi facendone un mucchio sul proscenio, così come in apertura proprio dalla disposizione ordinata di ceppi e catene da parte di Fidelio (a siglare lo scrupoloso puntiglio del lavoro quotidiano, sì da conquistarsi la fiducia di Rocco) aveva preso le mosse la scena. Protratti applausi all’intero cast – di alto livello, merita ribadirlo e così pure ed estremamente omogeneo – all’indirizzo di Noseda, di Martone e del coro al termine di uno spettacolo di gran classe e di forte impatto: del quale a lungo conserveremo memoria e che ci restituisce a tutto tondo l’immagine di Beethoven, della sua profonda humanitas e della sua etica integerrima trasposta in partitura con questo vero e proprio inno all’amore coniugale, nonché dichiarazione di strenua fiducia nel senso della giustizia. Exemplum di innegabile attualità, a maggior ragione in questi nostri tempi bui di crisi dei valori. Repliche sino al prossimo 18 dicembre.
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