
Al Konzerthaus il giovane percussionista, poliedrico e crossover, capace di passare dalle discoteche ai luoghi della tradizione
di Barbara Babic
“Wirklich ein netter Kerl!” ovvero “Proprio un tipo simpatico!”: così è stato definito più volte dalla stampa tedesca negli ultimi tempi (Die Zeit, Tagesspiegel) ed in effetti è ciò che si pensa quando si vede sul palco il sorridente ed entusiasta percussionista salisburghese Martin Grubinger. Classe 1983, figlio d’arte (il padre, Martin Grubinger senior è percussionista stabile della Camerata Salzburg), è considerato uno dei migliori marimbisti sulla scena musicale mondiale nonché musicista del secolo (“Jahrhundermusiker” secondo la rivista Die Welt) e buon esempio di musicista poliedrico e crossover. Ha all’attivo numerosi dischi (da segnalare: Drums ‘N’ Chant, una personalissima rivisitazione della musica gregoriana in collaborazione con i monaci dell’Abbazia di Münsterschwarzach e il DVD live di Colonia The Percussive Planet, entrambi per la Deutsche Grammophon) e un documentario biografico sul suo conto curato da ARTE (Singende Trommeln und rasender Puls – Der Multipercussionist Martin Grubinger, 2006). All’intensa attività concertistica, in particolare nei Paesi di lingua tedesca, affianca l’impegno nel sociale (workshop e progetti musicali per il rispetto delle culture, tradizioni e religioni del mondo per cui ha vinto il premio “Würth Preis der Jeunesses Musicales Deutschland 2010”) e l’attività di presentatore –alternandosi con la violoncellista Sol Gabetta– per un programma di approfondimento di musica classica per un canale televisivo tedesco.
È un personaggio piuttosto noto al pubblico berlinese: dopo il travolgente concerto indetto dalla Deutsche Grammophon (per la rassegna “Yellow Lounge”) tenutosi al Berghain (una delle discoteche più esclusive di Berlino) e dopo quello del 13 giugno scorso alla Philhamonie con l’ensemble The Percussive Planet, calca ora il palco del Konzerthaus, la sala da concerto più classica della capitale. Con sé porta l’orchestra principale della sua città natale, la Camerata Salzburg questa volta sotto la guida dell’israeliano Ariel Zuckermann, per presentare un programma interamente dedicato all’Austria. Il concerto si apre con un Mozart-Pasticcio – “Eine kleine Nachtschwärmerei”, un’opera-collage composta da Josef Raduer, contrabbassista della Camerata Salzburg, che ricama attorno ad alcune più o meno celebri citazioni mozartiane un vero e proprio omaggio al compositore salisburghese. Ne esce un ritratto mozartiano a tratti molto suggestivo (l’atmosfera notturna all’inizio dell’opera per l’Adagio Abend ist’s KV 356, con l’eco degli archi da lontano e le luci soffuse in sala) a tratti divertente e ironico, sia grazie all’abilità dell’affiatatissima orchestra di rendere lo Spass mozartiano che a quella di Grubinger di muoversi agilmente tra lo strumentario percussivo.

Si passa poi al Concerto per percussioni e orchestra “Das war schön” (“Questo era bello”) del compositore norvegese Rolf Wallin (*1957) composto per le celebrazioni mozartiane del 2006 ed eseguito in quell’occasione in prima assoluta a Vienna da Grubinger con la Radio-Symphonieorchester Wien. Il titolo dell’opera si ispira ad un appunto di Mozart in merito al suo uccellino domestico (uno storno chiamato Herr Stahr) in grado di cinguettare interamente il tema del rondò del suo concerto per pianoforte KV 453, sebbene con due errori annotati poi da Mozart. Se il primo movimento (M. Noir) –coma spiega Grubinger al pubblico– è un voluto omaggio a Messiaen e alla sua passione per l’ornitologia, nel secondo (Mon trés cher Pére), una sorta di canto funebre per la morte di Leopold Mozart, ben emerge il virtuosismo del percussionista, che esegue il brano alla marimba con dodici bacchette. Il terzo movimento (3×3) si fonda invece su una sequenza ritmica basata sul numero magico del Zauberflöte mentre il quarto (Es klingelt…) vede come protagonista la Glasharmonica, strumento molto amato da Mozart e riprodotto magistralmente dal percussionista al vibrafono e dall’orchestra con l’effetto sonoro suggestivo dei bicchieri di cristallo. L’opera si chiude con il quinto movimento (Herr Stahr), forse il meno convincente tra tutti, in cui emerge a tratti, nel cinguettare generalizzato degli strumenti dell’orchestra, il Papageno mozartiano
La seconda parte del concerto si apre con uno Schubert-Pasticcio – “Lebensstürme” composto da Shane Woodborne, violoncellista della Camerata Salzburg dal 1992. Come similmente si era fatto per il “pasticcio mozartiano”, anche in quest’opera si ripercorrono e soprattutto si rivisitano citazioni schubertiane, dai Lebensstürme (D 947) ai Walzer per concludere con l’ultimo Lied del Winterreise, Der Leiermann (D 911/24), la cui atmosfera melanconica viene ben resa dall’orchestra che accompagna il testo poetico del Lied recitato da un orchestrale. Degna di nota la scelta del compositore di arrangiare questo omaggio schubertiano per percussioni ed ensemble di fiati: i timbri si amalgamano alla perfezione e viene ricreato quel sapore popolare austriaco che spesso ricorre nella musica di Schubert. Al collage schubertiano segue il Concerto per marimba e archi op. 26 (*1963) di Bruno Hartl, timpanista dei Wiener Philharmoniker che negli ultimi tempi si è distinto come compositore soprattutto nell’ambito delle opere dedicate alle percussioni. In forma tripartita, il Concerto presenta lo strumento principe del concerto sempre sotto aspetti diversi: prima in un’atmosfera soffusa e pacata, poi in un gioco di ritmi che non dà tregua al solista ed infine in un ostinato e travolgente groove rockeggiante.
Il concerto –dedicato interamente alla contemporaneità, dove interpreti e compositori dialogano e scherzano con il passato musicale glorioso dei loro natali– termina con un lungo brano di musica popolare austriaca in cui Martin Grubinger esprime a 360 gradi la sua vivacità. Canta lo Jodel con alcuni orchestrali (ne sono stati apprezzati più lo spirito e l’entusiasmo che l’intonazione), passa agilmente da uno strumento all’altro, suona il pavimento del palco con le bacchette, esegue una melodia con un flautino popolare. Sebbene in alcuni tratti si sia ecceduto nello spirito folkloristico, il brano ha mostrato degli interpreti molto preparati, affiatati, dei grandi comunicatori: peccato solo per il direttore Ariel Zuckermann, che sebbene visibilmente divertito e partecipe, è rimasto un po’ in ombra a causa del suo gesto spesso poco incisivo e forse dall’esuberanza del resto della compagine.
Il talento di Grubinger emerge anche nel bis con il quale congeda il pubblico berlinese, un Adagio eseguito alla marimba, che termina con sonorità delicatissime che fanno tenere il respiro in sospeso fino all’ultima nota percettibile: un po’ come se si ricreasse musicalmente in sala quella magia peculiarmente alpina dell’Alpenglühen –tra l’altro sottotitolo del concerto– l’effetto di riverbero rosato del tramonto sulle Alpi.
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Complimenti Barbara, è sempre un piacere leggere le tue recensioni: equilibrate, colte e briose. Buon lavoro und viel Spaß in Berlin. Luigi