Al Teatro della Pergola si è esibita per gli Amici della Musica il 15 gennaio la formazione vocale che da sempre unisce rigore a senso dell’umorismo
di Michele Manzotti
Doveva essere un concerto speciale. La presenza dei King’s Singers a Firenze, divenuta ormai abituale nelle stagioni degli Amici della musica, aveva infatti due motivi di interesse: quello del programma interamente dedicato alla musica britannica, e l’ultima data in città del baritono Philip Lawson che a febbraio lascerà la formazione vocale dopo 17 anni. Invece l’assenza forzata per malattia del tenore Paul Phoenix ha costretto il gruppo a utilizzare in un altro registro proprio il sostituto di Lawson, il neozelandese Chris Bruerton, cambiando parte del programma. E a suo modo è rimasto un concerto speciale proprio per la timbrica inedita dei sei cantanti del gruppo (due controtenori, tre baritoni, un basso) e per alcune novità del repertorio proposto. Torniamo per un attimo alla figura di Lawson, compositore e arrangiatore che più di altri ha caratterizzato il gruppo nell’ultimo periodo, condividendo il palco con molti colleghi: «Penso che la qualità più importante per far parte dei King’s Singers –spiega– sia l’abilità di accettare le critiche positive di coloro con cui lavori. Alcuni cantanti lo fanno meglio di altri. Anche la flessibilità è importante e deve essere non solo vocale, ma anche riguardo al metodo di lavoro del gruppo. Tentare di forzare la propria agenda rispetto alla quella della formazione può essere molto negativo, ed è qualcosa che abbiamo sempre tentato di evitare».
Il segreto della longevità dei King’s Singers, il cui anno ufficiale di inizio attività è il 1968, è infatti la sensazione di forte compattezza di gruppo espressa con estrema naturalezza unendo rigore a senso dell’umorismo. Un “format” che si è ripetuto anche nella serata fiorentina, con il teatro alla Pergola tutto esaurito e un’accoglienza quasi da rockstar da parte del pubblico. Nel concerto è rimasta la parte relativa alle composizioni dedicata al periodo di Enrico VIII e della figlia Elisabetta I, tra cui due dei Triumphs of Oriana, la raccolta di madrigali dedicata nel 1601 alla regina a cura del compositore Thomas Morley. Una parte affrontata con evidente sicurezza grazie alla consuetudine con il repertorio. «Triumphs of Oriana (etichetta Signum) è il mio disco preferito durante la mia permanenza nei King’s Singers –aggiunge Lawson. I sei componenti del gruppo in quell’incisione erano al massimo della loro vocalità specialmente nel gioco di squadra, lavorando insieme al meglio per produrre un bel risultato». I brani dedicati alla regina Victoria sono stati invece sostituiti dai Nonsense di Goffredo Petrassi, con un’eccellente resa vocale del testo italiano introdotto per l’occasione dai versi originali di Edward Lear. Nella seconda parte sono stati proposti i brani di Camille Saint-Saens inclusi nell’album Romance du soir (anch’esso uscito per la Signum) al posto di quelli previsti di Benjamin Britten, interpretati con grande raffinatezza. L’attesa però era riservata al gran finale con i brani della tradizione britannica e degli inserti pop (stavolta James Taylor e Beatles) che abitualmente chiudono ogni loro spettacolo nel segno del senso dell’umorismo tipicamente inglese. Un modo degno anche per festeggiare Lawson, accolto da tanti fan a fine spettacolo.
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