di Patrizia Luppi
Duecentoventi anni fa, il 29 febbraio 1792, nasceva a Pesaro Giovacchino (Gioachino) Antonio Rossini. Bambino prodigio, poi sommo operista e infine raffinatissimo autore pianistico e cameristico, sarebbe vissuto per 76 anni, fino al 13 novembre 1868. Un’esistenza, la sua, trascorsa tra bruschi contrasti: fervore creativo e profonda depressione, trionfi in palcoscenico e fiaschi dolorosi, amori passionali e abbandoni, ironia e cupi umori ipocondriaci rintuzzati a colpi di luculliani piaceri della gola.
L’omaggio che gli dedichiamo è l’esecuzione di una delle sue pagine più celebri, «Una voce poco fa» (la cavatina di Rosina dal Barbiere di Siviglia), da parte di tre cantanti straordinarie che incarnano tre differenti epoche dell’interpretazione rossiniana. Per prima Maria Callas, la divina, che tuttavia per la sua Rosina alla Scala, e per le varie registrazioni che furono diffuse, suscitò pareri contrastanti (a noi sembra che, al di là della prova vocale, in generale mirabile, fornita dalla Callas nelle diverse edizioni, poco si manifesti una sua intima adesione al personaggio; ma invitiamo i nostri lettori a rinnovare, qualche decennio dopo, il dibattito); poi Marilyn Horne, il mezzosoprano americano che fu protagonista eccellente della cosiddetta Rossini-renaissance fiorita a partire dagli anni Settanta del Novecento, quando accanto alla riproposta delle opere meno note del compositore, e in particolare del repertorio serio, si impose l’accuratezza filologica nella resa delle partiture e un’attenzione prima mai rivolta alla vocalità rossiniana; la terza è la tedesca Diana Damrau, smagliante rivelazione degli anni recenti, che con le sue doti fuori del comune si immedesima in modo catturante in una Rosina affidata – come più spesso accadeva in passato – al registro sopranile invece che a quello originale di mezzosoprano/contralto.
Maria Callas:
Marilyn Horne:
Diana Damrau:
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