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PERLE DI VETRO
di Giovanni Albini
Pochi giorni fa Tom Service ha pubblicato sul Guardian un articolo, “The five myths about contemporary music”, in cui il giornalista inglese smentisce quelli che secondo lui sono i cinque tipici preconcetti sulla musica contemporanea. Una musica che, scrive Service, 1) NON suona come un cancello stridulo, 2) NON è inaccessibile, 3) NON richiede necessariamente una preparazione accademica per essere apprezzata, 4) NON è irrilevante e 5) NON è vero che in quanto (spesso) scritta per organici ‘classici’ debba essere (sempre) considerata ‘vecchia’. L’articolo è brillante, e ne consiglio caldamente la lettura. A tutti. Perché credo che, nel definirsi ormai saldo di questi preconcetti nel pensiero comune, un po’ di colpa, forse, l’abbiamo tutti quanti.
Da chi ci governa, che ha relegato lo studio della musica esclusivamente in specifiche istituzioni, medie e licei ad indirizzo musicale, e poi in conservatori che oggi dovrebbero assomigliare ad università. E non ne ha fatto una disciplina che riesca a trovare naturalmente il suo posto nel corso di tutta la formazione, affiancando le altre materie fin dall’inizio della scuola dell’obbligo, con pari dignità. Così che poi, nel caso, possa essere approfondita. Se non c’è una diffusa cultura musicale, non vedo allora come ci possa essere un interesse per la musica contemporanea.
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E così l’Italia sarà sempre gravida di tanti Remo Proietti, indimenticabile personaggio interpretato da Alberto Sordi nel film “Dove vai in vacanza?”, che di ritorno da un concerto di nuova musica dice al figlio: «è una musica bellissima; forse un giorno la capiremo pure noi». Colpevoli sono anche i musicisti: chi la musica la insegna è spesso ancorato ad una didattica e ad un repertorio vecchio di decenni (se non di secoli), ed è naturale che la musica scritta oggi poi sia proposta di rado ai concerti. A meno che non si tratti, appunto, di un concerto di musica contemporanea: gli interpreti che se ne occupano, in pratica, si specializzano, il pubblico è di solito un pubblico di addetti ai lavori, ed ognuno cuoce nel suo brodo.
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Tom Service sul Guardian, la musica contemporanea:
1) NON suona come un cancello stridulo
2) NON è inaccessibile
3) NON richiede necessariamente una preparazione accademica per essere apprezzata
4) NON è irrilevante
5) NON è vero che in quanto (spesso) scritta per organici ‘classici’ debba essere (sempre) considerata ‘vecchia’
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Infine vengono i compositori (e qui mi cospargo il capo di cenere): va bene, la musica d’arte contemporanea come comunemente la si intende è musica di ricerca, il compositore di oggi opera alle periferie del linguaggio musicale, scrive una musica capace di comunicare qualcosa sul linguaggio stesso. Anela a uno stile individuale, rincorre una necessità espressiva, insegue nuove tecniche ed estetiche ancora sconosciute. Va bene tutto. Ma se poi ci si perde in linguaggi che sono la caricatura (peraltro mal riuscita) delle avanguardie del Novecento, se l’ansia verso il nuovo porta al rifiuto di ogni materiale che vibra di storia, se si dimentica di comunicare qualcosa con la musica, qualcosa di viscerale, energico, misterioso, appassionato, alchemico: allora qualcosa, forse, è già incrinato nel cuore di tutto il meccanismo.
Non mi si fraintenda. La nave non sta affondando. Ma galleggia indolente. Ogni anno incontro nuovi giovani e giovanissimi che si appassionano e approfondiscono la musica di oggi. Ci sono compositori che scrivono pagine stupende, sulle quali vorrei poter aver messo la mia firma. Organizzatori ed interpreti che si dedicano alla nuova musica e che con passione la promuovono. Ma non basta. Rimane un privilegio per pochi. Bisognerebbe che tutti, specialisti e non (perché anche noi che ce ne occupiamo abbiamo tanto da imparare), aprissimo le nostre orecchie ogni giorno con curiosità e freschezza. Le cose spesso non ci piacciono, non ci attirano, forse solamente perché le avviciniamo viziati e impigriti da ciò a cui siamo abituati. E così, invece di interessarci a scoprire qualcosa di nuovo, cerchiamo anche in esso le forme di ciò che conosciamo già. Di ciò che già ci piace. E rimanendo ogni volta irrimediabilmente delusi, continuiamo a galleggiare.
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