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Curiosità | La musica porta lontano? Il Concerto Brandeburghese in Fa di Johann Sebastian Bach, un’aria dal Flauto magico di Mozart, Le Sacre du Printemps di Stravinskij: sono alcune delle opere musicali che Carl Sagan scelse di inviare nello spazio sulle Voyager. Le sonde sono ora ai limiti del sistema solare
di Rosario Vigliotti
L a sonda Voyager 1, lanciata dalla NASA nel 1977, si sta avvicinando ai limiti del nostro sistema solare e sarà quindi il primo manufatto umano a addentrarsi nello spazio interstellare. Negli anni ’70 l’ente spaziale americano aveva affidato al professor Carl Sagan della Cornell University l’incarico di selezionare immagini, suoni naturali, musiche e messaggi dalla Terra da inviare tramite quella sonda a eventuali intelligenze extraterrestri incontrate lungo il cammino. Si sarebbe trattato di una sorta di dépliant del nostro pianeta, un simbolico messaggio in bottiglia destinato a navigare nell’oceano cosmico per chissà quanto tempo.
I due dischi d’oro del professor Sagan sono partiti per l’Infinito nel 1977 e nel 1978 con le sonde Voyager 1 e Voyager 2, e le istruzioni per decodificarli sono bene in vista sulle copertine
Sagan scelse 115 immagini e molti suoni naturali, fra cui l’infrangersi delle onde sugli scogli, il sibilo del vento, il rombo del tuono, il canto degli uccelli e quello delle balene. Poi saluti in cinquantacinque lingue, ad iniziare dall’Accadico, parlato circa 6.000 anni fa dai Sumeri, passando per il Latino, il Greco, la lingua Quechua, fino alla lingua Wu, parlata ancora oggi in Cina. La selezione di musiche e canzoni intercontinentali spaziava dal passato al presente. C’erano, fra quelle, il Primo movimento del Concerto Brandeburghese in Fa di Johann Sebastian Bach, un’aria dal Flauto magico di Mozart, canti degli aborigeni d’Australia, ritmi di tamburi senegalesi, una canzone d’iniziazione delle donne Pigmee, Le Sacre du Printemps di Igor Stravinskij e “Johnny B. Goode”, cantata da Chuck Berry.
Fu tutto inciso su due dischi d’oro, perché due erano le sonde Voyager destinate a quel lungo viaggio. E come i migliori depliant, recavano solo cose piacevoli e tranquillizzanti, affinché il lettore lontano fosse colto dall’irrefrenabile desiderio di visitare un pianeta definito, senza mezzi termini, irresistibile. Sarebbe bastato mettere su quei dischi anche le maschere tragiche del Teatro pensate millenni fa dai Greci per rovinare tutto. Riportare anche scritti di Euripide, Shakespeare, Eduardo, Molière, Pirandello o Racine, per sconsigliare il turismo interstellare. O magari scegliere di spedire lontano solo la maschera sorridente della Commedia, lasciando sulla Terra quella della Tragedia, per tacere la verità. Ma una canzone e una commedia divertente fanno spesso il paio con storie di sofferenza. La danza sacrificale di Stravinskij scelta da Sagan, ad esempio, parla di un popolo che costringeva un’adolescente a ballare fino alla morte per propiziarsi la benevolenza degli dèi per la nuova stagione, mentre “Johnny B. Goode” narra di un ragazzo di campagna della Louisiana, nato dalle parti di New Orleans, che non imparò mai a leggere e a scrivere bene, ma che suonava tanto bene la chitarra da avere successo, che certo però non avrebbe mai immaginato che un giorno New Orleans sarebbe stata sommersa dal mare e che poco tempo dopo le campagne intorno sarebbero state invase dal petrolio riversato da una piattaforma d’estrazione difettosa.

I due dischi d’oro del professor Sagan sono partiti per l’Infinito nel 1977 e nel 1978 con le sonde Voyager 1 e Voyager 2, e le istruzioni per decodificarli sono bene in vista sulle copertine. «Questo è un omaggio di un piccolo e lontano pianeta, un frammento dei nostri suoni, della nostra scienza, delle nostre immagini, della nostra musica, dei nostri pensieri e sentimenti», dice il messaggio registrato da Jimmy Carter, presidente degli Stati Uniti d’America. «Stiamo cercando di sopravvivere ai nostri tempi, ma potremmo farlo nei vostri.»
Incontreranno fra 40.000 anni la prima stella e difficilmente, prima di allora, la specie umana saprà se sono state intercettate, se il depliant che spiega chi e che cosa siamo è stato decrittato e compreso. Noi che stiamo ancora qui, per rammentare quel che abbiamo fatto durante il nostro tempo, abbiamo istituito La Giornata della Memoria per le vittime della Shoah, la Giornata del Ricordo per le vittime delle foibe, la Giornata per le vittime di Hiroshima, la Giornata del Pianeta, la Giornata per le vittime del terrorismo e tante altre ancora. E dubitiamo sempre che tutto ciò basti a ricordarcelo. Forse perché, come sostengono in tanti, la Storia ha la memoria corta, o perché migliaia di anni fa i Greci avevano inventato il Teatro per spiegare a loro stessi quello che erano e a noi ciò che saremmo stati.
Come dimostrano chiaramente i fatti, nemmeno quella loro antica lezione sembra esserci bastata.
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