[wide]
[/wide]
Il Bergamo Musica Festival, dedicato a Gaetano Donizetti, ha presentato con successo un nuovo allestimento dell’opera incentrata sulla storica figura della regina di Scozia. Tra gli altri appuntamenti, un convegno con autorevoli studiosi
di Valentina Trovato
L o scorso week end a Bergamo si respirava un’aria speciale. Proprio in quei giorni, presso la Casa Natale di Donizetti, si sono raccolti alcuni autorevoli musicologi della scena internazionale per il convegno Donizetti in scena. Vedere l’opera. Tra i presenti Roger Parker, Franca Cella, Paolo Fabbri, Mary Ann Smart, solo per citarne alcuni e dare il senso dell’importanza di quest’occasione; dopotutto era il primo convegno donizettiano da 14 anni: l’ultimo, dedicato alla drammaturgia del compositore bergamasco (Voglio amore e amor violento. Studi di drammaturgia) è datato 1998.
L’occasione è ancora più ghiotta se l’argomento centrale è la messinscena nel teatro di Donizetti, autore per il quale l’aspetto scenico-performativo ha sempre rivestito grande importanza, interesse testimoniato dalle numerose didascalie presenti sui libretti, disposizioni sceniche (soprattutto di tradizione francese): tutti elementi che troveranno forma compiuta nel teatro verdiano. Ma in questo 2012 un convegno così ricco di spunti e studi ci pone domande molto interessanti e stimolanti, che riguardano anche le nuove regie del teatro di Donizetti e le relative registrazioni video di esse.
Se il convegno è stato un momento molto importante – di confronto e riflessione – per la ricchezza dei contenuti, la grande levatura dei partecipanti e il vivo dibattito scaturito, la seconda e ultima rappresentazione di Maria Stuarda al Teatro Donizetti ne è stata la degna conclusione. Maria Stuarda, ovvero una vita vissuta tragicamente. L’opera donizettiana racconta infatti della vicenda umana di Maria, regina di Scozia, accusata di alto tradimento e imprigionata da sua cugina Elisabetta I, la quale firmerà la sua condanna a morte. La vicenda storica è alla base, però qui di umanità si tratta. Aspetto colto pienamente dalla regia di Federico Bertolani, che ci propone una scena molto essenziale e atemporale, composta talvolta dal trono di Elisabetta o da strutture luminose a mo’ di cornice, dove anche i costumi evocano la memoria del passato, un tempo imprecisato, che non ha bisogno di essere storicamente stabilito.
Una regia molto ricercata, anche nei movimenti scenici, che si è accompagnata con l’accurata direzione di Sebastiano Rolli, che dimostra di conoscere molto bene i tempi del teatro donizettiano, e un cast nel complesso di grande bravura e soddisfacente presenza scenica (ricordiamo tra gli altri la lodevolissima Majella Cullagh, protagonista dell’opera nei panni di Maria dopo la prima rappresentazione affidata alla grande Mariella Devia). In quest’opera il pubblico è colpito soprattutto dall’utilizzo del coro, una sorta di voce fuori campo, dialogante con il personaggio sulla scena e che verso la conclusione della vicenda assume una funzione determinante, come una specie di confessore dell’ormai ex regina. Quasi un tempo sospeso, quello del coro, evidenziato in questa edizione da alcuni movimenti scenici molto lenti. L’opera finisce e viene giù il teatro, un pubblico in delirio.
© Riproduzione riservata