Roberto Cappello interpreta uno dei più impegnativi cimenti musicali del grande pianista-compositore al fianco dell’Orchestra Sinfonica di Roma. Dirige Francesco La Vecchia
di Gianluigi Mattietti
«Un’opera che tenta di riassumere i risultati del periodo della mia prima maturità e che rappresenta la sua conclusione»: così definì Busoni il suo Concerto per pianoforte, orchestra e coro maschile op.39, composto nel 1904, in un periodo nel quale cercava di imprimere il segno di un profondo rinnovamento in tutte le sue attività di musicista. Opera ciclopica, e in un certo senso anche autobiografica, questo concerto fonde insieme i caratteri propri della forma del concerto (inteso come «una cooperazione di mezzi diversi di produzione del suono») con modelli, stilemi già sperimentati, echi di lavori precedenti. E il risultato è una forma «architettonica-paesaggistico-simbolica» assolutamente anticonvenzionale, non solo per l’impiego di un coro maschile nell’ultimo tempo (sul testo misticheggiante dell’Inno di lode ad Allah di Adam Gottlob Oehlenschläger), ma anche per l’articolazione in cinque movimenti incardinata su quelli dispari dall’andamento più lento. L’estremo rigore della concezione formale, d’impronta “tedesca”, si combina, al solito, con elementi melodici e ritmici tipicamente “italiani”, tra i quali spiccano tre canzoni popolari, utilizzate nel secondo e nel quarto movimento: «Fenesta ca lucive», «La bella gigogin», e un tema dei bersaglieri. Considerato il concerto più lungo di tutta la letteratura pianistica (dura da solo 80 minuti), rappresenta un duro cimento per ogni solista. Non a caso, dopo la morte del compositore (che lo tenne a battesimo a Berlino il 10 novembre del 1904, con una freddissima accoglienza da parte della critica) cadde nell’oblio, fino alla riscoperta che ne fece John Ogdon nel 1967. Da allora pochi altri pianisti si sono cimentati con questo concerto in sala di registrazione, come Peter Donohoe (Emi), Marc-André Hamelin (Hyperion), Garrick Ohlsson (Telarc). Questa interpretazione di Roberto Cappello (incisa per la Naxos nel 2009 all’Auditorium della Conciliazione di Roma) non ha nulla da invidiare alle altre. Il pianista leccese, vincitore del Busoni nel 1976, si dimostra a suo agio con la densa scrittura solistica, la sua lettura è carica di tensione, e sempre molto eloquente, anche in mezzo alle più fitte cascate di suoni, e di grande duttilità espressiva. Cappello coglie bene la forza brahmsiana nel primo movimento (Prologo e introito), lo humour giocoso del secondo, le dense atmosfere dello sterminato movimento centrale (Pezzo serioso), l’energia propulsiva della Tarantella, che pare muoversi in mezzo a un’orchestra quasi polverizzata, la calma olimpica e insieme il culmine di pathos che caratterizzano il finale (Cantico). Meno variegata la direzione di Francesco La Vecchia, che è abile nel trovare un buon bilanciamento tra solista, orchestra e coro, ma che procede con un andamento inflessibile, spesso troppo muscolare, senza troppe sfumature dinamiche e di colore. Insomma non rende pianamente giustizia alla finezza dell’orchestrazione di Busoni.
Ferruccio Busoni – Concerto per pianoforte op. 39 | Roberto Cappello, pianoforte; Corale Luca Marenzio; Orchestra Sinfonica di Roma; Francesco La Vecchia, direttore| Naxos 572523