Il violoncellista russo ha ricevuto il premio “Una Vita per la Musica” nel corso di una serata che lo ha visto protagonista di una lettura delle Suites per violoncello di raro fascino e temperamento
V arie le difficoltà alle quali l’interprete si espone nell’esecuzione delle Suites per violoncello solo di J. S. Bach. Per ragioni storico–filologiche (non esiste infatti un manoscritto autografo) difficili sono l’approccio e la resa di questa fondamentale pagina della letteratura per violoncello. Sono memorabili le esecuzioni di interpreti quali Mstislav Rostropovich (la sua figura tra le macerie del muro di Berlino nel 1989 è ormai icona di una nuova epoca), Gregor Piatigorsky o l’italiano Mario Brunello con il concerto del 2007 sulle pendici del Monte Fuji. Un altro assiduo frequentatore delle Suites è Mischa Maisky che domenica 21 ottobre, nell’ambito del concerto inaugurale della stagione dell’Accademia Filarmonica Romana, ha proposto la Seconda, la Terza e la Sesta, deliziando la platea del Teatro Olimpico. Musicista molto controverso, Maisky è riuscito a condurre nei meandri della partitura il non sempre silenzioso pubblico in sala grazie alla tecnica brillante e al grande magnetismo di un temperamento che, come era solito ricordare il suo maestro Rostropovich, “hanno solo i grandi”. La peculiarità del violoncellista russo è sicuramente il suono: ampio, caldo, dotato di un cantabile e di una rara capacità di “timbrare”, nei passi polifonici, le varie voci. Il pubblico è rimasto ammaliato per più di un’ora da questo vorticoso susseguirsi di sonorità vivide ed eleganti che potrebbero far storcere il naso ai puristi della prassi esecutiva. Mischa Maisky non è interprete rinchiuso nel “filologicamente corretto”, ma alla continua ricerca delle possibilità che ogni singolo aspetto della partitura offre. Un suono potente caratterizzato da uno spettro infinito di colori, che in un certo qual modo giustifica scelte interpretative meno convenzionali come tempi particolarmente arditi o molto lenti o dinamiche enfatizzate.
Ammaliante esecuzione sin dal primo suono della Suite n. 3, nella quale il violoncellista decide di non attendere il fatidico silenzio in sala, attaccando nel forte ed evidenziando da subito il carattere eroico del Preludio e di tutto il brano, il cui scorrere appare quasi quale fascinoso fuoco d’artificio. La Seconda in re minore viene invece enfatizzata nel suo carattere oscuro e malinconico. Maisky non lesina lunghi vibrati, tempi più dilatati e suoni intensi. Il Preludio quasi sussurrato risuona in sala come un voce che chiama dal fondo di un buio denso. Il violoncellista russo persevera anche nella successiva Allemande e Courante, tracciando nuances cariche di una disillusa malinconia che culmina nella struggente Sarabanda. Dell’interpretazione di Maisky stupisce la compenetrazione con la partitura e la lettura meticolosa e originale allo stesso tempo, l’eccezionale tecnica cristallina e il fraseggio lirico. Anche nelle pagine tecnicamente più complesse, come nella Suite n. 6, il violoncellista russo mostra un’incrollabile tenuta e un’intonazione eccellente. Proprio la Sesta rappresenta la vetta più alta e luminosa di questo viaggio. “Una sinfonia per violoncello solo” era solito affermare Rostropovich, in cui ogni nota accompagna l’ascoltatore verso una meraviglia e una trascendenza mai provate prima. Terminata la vibrazione dell’ultimo suono un grande silenzio ha avvolto la platea rapita; poi però tanti e doverosi applausi per un uomo e un musicista eccezionale che si è anche reso disponibile ad incontrare i suoi ammiratori nel foyer del teatro.
Nel corso della serata Paolo Baratta, presidente della Filarmonica Romana, e Sandro Cappelletto, direttore artistico, hanno consegnato a Maisky il premio “Una Vita per la Musica” che l’istituzione capitolina riserva ai grandi interpreti del nostro tempo.
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