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Concerti • In ottima intesa con l’Accademia Bizantina e il suo direttore e solista al clavicembalo, la violinista russa ha offerto delle interpretazioni stilisticamente appropriate, intense e brillanti di partiture originali e trascrizioni
di Attilio Piovano
Q uarto appuntamento di stagione per I Concerti di Lingotto Musica, ieri sera, 26 novembre, presso l’Auditorium di via Nizza progettato da Renzo Piano. Dopo i Wiener e la Mahler Chamber s’è trattato d’una serata tutta orientata sul versante barocco, per la gioia degli amanti di tale ambito. Protagonista la violinista Viktoria Mullova, indiscussa fuoriclasse, capace di trascorrere con una musicalità singolare dal barocco al contemporaneo, non estranea ad operazioni trasversali di alto livello, sempre amata ed osannata (molti, moltissimi i giovani tra i suoi fan), attorniata dagli ottimi elementi dell’Accademia Bizantina (con Ottavio Dantone direttore e solista al cembalo). Per intero bachiano il programma che si è inaugurato con il Concerto per violino e archi BWV 1041. E subito la Mullova ha sfoderato un’appropriatezza di suono a dir poco prodigioso, un suono caldo e pastoso (e, ça va sans dire, il merito non è solo dello Stradivari Julius Falk del 1723 e/o del non meno prestigioso Guadagnini), un suono lontano dalla monocromia di certa sterile filologia (per fortuna sempre meno imperante), eppure perfettamente consapevole della moderna e sacrosanta tendenza a restituire in maniera corretta le sonorità settecentesche. Dunque niente vibrati eccessivi e anacronistici, ma nel contempo molta intensità, per dire, nel tempo centrale lento. Scioltezza e brillantezza nei tempi estremi affrontati con meravigliosa souplesse.
Quanto all’Accademia Bizantina è uno dei più straordinari complessi oggi in circolazione sulle scene internazionali, tecnica solida, affiatamento assoluto (perfetti gli incastri polifonici), non una sbavatura, molto studio alle spalle, consapevolezza critica e filologica ma, se Dio vuole, il tutto posto al servizio della Musica, della godibilità d’ascolto. Dantone, poi, dal suo cembalo rosseggiante guida con mano esperta e verve indicibile. Non solo: da musicista a 360 gradi si cimenta anche in trascrizioni e rielaborazioni: e allora ecco che si è ascoltato il Concerto BWV 1060 (in realtà nato in veste di Doppio concerto per due cembali e passato alla storia nella fisionomia per oboe e cembalo) in una sua rielaborazione per violino, cembalo e archi. Ed è stato come incontrare una nuova fisionomia, rigenerata. Con nuovi e perfetti equilibri fonici e molto di più (e non ha senso a tutti i costi come taluno in sala disquisire sulla superiorità di una scelta piuttosto che un’altra, del resto all’epoca, si sa, le scelte timbriche erano molto più flessibili di quanto poi l’800 abbia cristallizzato). Quanto all’interpretazione, forse occorre segnalare un velo di eccesso circa la velocità di stacco nel finale: e s’innesca in tali casi il rischio di un che di larvatamente nevrotico.
Nel Concerto BWV 1053 (ancora trascrizione di Dantone per violino e archi dall’originale per cembalo) ci è parsa venire leggermente meno l’intensità nel tempo centrale (il mirifico Siciliano, struggente e melanconico, striato di spleen ante litteram), come se solista ed ensemble temessero di abbandonarsi troppo, come se la giusta oggettivazione che richiede il barocco prevalesse, come se si temesse di essere eccessivamente espressivi. Qualche asprezza nel movimento conclusivo, ma è piccola cosa. Da ultimo le incandescenti scorribande del celeberrimo ed amatissimo Concerto per violino ed archi BWV 1042 nel quale Bach vistosamente guarda alle maniere italiane, segnatamente al lagunare Vivaldi. Indicibile concentrazione, austerità e direi spiritualità nel “nordico” tempo lento, poi via con le solari fantasmagorie dell’agile e slanciato Allegro assai conclusivo ed è stato un vero trionfo.
Certo, occorre segnalarlo, corde di budello, diapason a 415, esiguo (e pur corretto) organico sono tutti elementi che mal si conciliano con le vaste proporzioni del Lingotto; peraltro tutti gli sforzi possibili per adattare l’acustica della sala all’evento sono stati posti in atto, e allora ben 12 specchi acustici lignei disposti circolarmente sul palco e una regolazione certosina (ci è parso) anche degli specchi acustici a soffitto, vistosamente ribassati rispetto alla norma; pur tuttavia, specie a fondo sala, qualcosa in questi casi – è innegabile – irrimediabilmente si perde. Del resto sarebbe impossibile dirottare i quasi 2.000 spettatori fedelissimi del Lingotto in altra sala (e dove, poi?) rischiando un overbooking imbarazzante… Insomma, concerto di altissimo livello (e lo si potrebbe metaforicamente sintetizzare con l’iscrizione posta all’interno del cembalo di Dantone, nulla scientia melior musica animae harmonia, salvo errori dovuti alla vista vacillante…), applausi a non finire, gradito bis scarlattiano e pazienza per qualche (lieve) mugugno, ma solo dalle ultimissime file obiettivamente più penalizzate in questo caso rispetto al vasto complesso sinfonico per il quale la sala è invece perfetta. Appuntamento a metà febbraio con la Kremerata Baltica ed il geniale e fantasioso Gidon Kremer.
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