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Riflessioni • Onestà, formazione, impegno e responsabilità. Caratteristiche che spesso sembrano essere i grandi assenti nei bandi e concorsi dedicati ai musicisti professionisti, ma non solo. Con buona pace della trasparenza e del senso civico
di Giovanni Albini
L a questione dei controversi bandi per la direzione della scuola civica di musica di Nuoro, il “paradosso Barenboim”, ha acceso nelle ultime settimane l’interesse di molti. Ce ne siamo già occupati e molto si trova anche sui quotidiani sardi, come testimoniato dalle pagine del blog che si è fatto portavoce della campagna di protesta. Nihil sub sole novum, recita la massima: indipendentemente dal problema sorto a Nuoro, per il quale restiamo tutti in attesa di chiarimenti, i bandi e i concorsi “su misura” sono un costume inaccettabile ma assodato in molte realtà del pubblico impiego, e toccano inevitabilmente anche noi musicisti. Poiché, anche senza arrivare al caso limite del bando ad personam, sono tantissimi i casi discutibili.
D’altronde chi, per esperienza diretta o partecipando alle vicende di una persona cara, non è mai rimbalzato contro quel muro di gomma che è la macchina burocratica delle pubbliche assunzioni? Faldoni di pagine firmate, certificazioni e titoli raccolti con fatica; cataste di raccomandate a cui seguono graduatorie dai risultati spesso misteriosi, che alimentano il sospetto di faziosità e superficialità. Penso ad esempio alle procedure selettive per soli titoli per i posti di insegnamento (temporanei, ovviamente) nei conservatori e negli istituti pareggiati. Domande in cui, presso differenti istituzioni, si presentano gli stessi titoli per lo stesso incarico; domande che dovrebbero essere valutate in riferimento agli stessi criteri di valutazione, quelli individuati nella direttiva del MIUR-AFAM – Prot. n° 3154 del 09/06/2011, e che danno invece troppo spesso risultati non solo diversi (il che sarebbe normale, ai commissari è lasciato un minimo spazio di interpretazione delle indicazioni della direttiva) ma addirittura contraddittori. In una si è nei primi posti, e magari si riesce alla fine ad ottenere l’incarico, nell’altra si è addirittura non idonei. Non idonei. A volte si ha il doppio dei punti di qualche amico concorrente, a volte la metà. Alla faccia di un sistema di selezione trasparente e oggettivo.
Solo l’opera di qualche facilone e furbetto, allora? Solo un sistema pedante che si inceppa tra mille cavilli e un mercato del lavoro intasato? Non credo: la mia sensazione è che la natura del problema risieda anche e soprattutto nei presupposti e nelle modalità di queste selezioni. Sono convinto che la definizione di griglie di valutazione dovrebbe avere come unico obiettivo quello di garantire criteri imparziali per una scelta meritocratica. Per sostenere l’assunzione della persona più adatta a ricoprire uno specifico ruolo. La realtà dei fatti mi sembrerebbe però evidenziare che spesso non ci sia alcuna corrispondenza tra i requisiti richiesti e un’effettiva idoneità al lavoro. Ma, d’altro canto, dovendo stilare una graduatoria qualche parametro bisognerà pure sceglierlo, e rimarrà sempre e comunque in qualche misura arbitrario. Certo avrebbe senso che qualcuno si prendesse la responsabilità dei criteri adottati, così come la commissione contingente dovrebbe rispondere dell’interpretazione e dell’attuazione di tali criteri. Perché, e qui arriviamo al nocciolo della questione, la mia sensazione è che tutti questi bandi, queste griglie e queste norme, piuttosto che garantire una scelta sensata e meritocratica, vestano la selezione di un asettico tessuto burocratico; tessuto che, in nome di una presunta e millantata oggettività, finisce col togliere buona parte della responsabilità della scelta ad amministratori e commissari. Poco importa poi se agiscono in buona fede, con leggerezza o favorendo qualcuno: davanti a loro rimarrà lo scudo di procedure e schemi valutativi che vengono passati come oggettivi. E, anche di fronte all’evidenza di un sistema che non funziona, l’attenzione mediatica e l’intervento delle forze dell’ordine finiscono con il manifestarsi solo nei casi più estremi, quelli plateali, quelli difficili da mandare giù. Quelli per i quali si chiedono coralmente spiegazioni.
Dopotutto l’attenzione a scelte responsabili è propria di una cultura fondata sulla trasparenza e sul senso civico. In un contesto sociale onesto e limpido, in cui chi seleziona è formato per fare il suo lavoro e lo svolge in maniera attenta e responsabile, rispondendo sempre delle sue scelte e della loro motivazione, in cui chi è selezionato deve dar prova di valere per il compito che gli viene assegnato, in cui il lavoro una volta ottenuto non è solo un diritto ma anche un’opportunità che porta con se impegni e oneri, ebbene, in un contesto del genere credo che non servirebbero nemmeno troppe briglie normative per assumere e poi eventualmente confermare qualcuno. Onestà, trasparenza, formazione, impegno e responsabilità. Mi spiace, ma l’Italia, a me, non sembra ancora idonea.
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