Recital • La pianista vincitrice del prestigioso Van Cliburn nel 2001 ha interpretato in Conservatorio pagine di Rachmaninov, Beethoven, Liszt, Chopin, Schumann. Ottimi timbri e robustezza sonora, forse un Carnaval poco scavato
di Attilio Piovano
P rogramma corposo e – per la gioia degli occhi – ben due diverse mises per la fascinosa pianista russa Olga Kern, approdata in Conservatorio, mercoledì 30 gennaio scorso, a Torino, per l’Unione Musicale. Vincitrice del prestigioso Van Cliburn 2001 col mitico Rach III, la Kern si è formata a Mosca; a soli 17 anni nel 1993 vinceva il ‘Rachmaninov’ (col suo vero nome, Pushechnikova, poi vi rinuncerà adottando quello della madre, strategicamente più agevole da ricordare); in seguito, arruolata entro la nutrita pattuglia degli allievi degli Incontri col Maestro ad Imola, ha studiato con Petrushanskij. Tournée in America Latina, debutto ai londinesi Prom’s (2008), poi in Cina (2009) quindi la consacrazione negli States con le orchestre di Houston e St. Louis. «Nata in una famiglia di musicisti che aveva stretti legami con Cajkovskij e Rachmaninov», così avverte la bio ufficiale nel programma di sala, la Kern ha dunque un feeling speciale coi musicisti della sua terra. E si sente. Sicché, rosso vestita (con profonda scollatura sulla schiena), nella seconda parte della serata ha sbaragliato, suscitando entusiasmi vivissimi proprio in Rachmaninov. E si trattava di tre Preludi dall’op. 32. Grandi emozioni nel n° 5, con quel clima raggelato, striato di melanconia tipicamente russa, e ne ha restituito tutta la fragranza melodica. Poi ha mostrato chi è veramente e di quali immani sonorità è capace nel n° 10 dalle robuste zone quasi orchestrali. Infine il n° 12, notissimo e assai amato da interpreti e pubblico dove l’abbiamo apprezzata per la capacità di ‘inventare’ una varietà notevole di timbri e – occorre ammetterlo apertamente – per un suo innegabile magnetismo. Ed è stato il trionfo. Dita d’acciaio, tecnica solida (verrebbe da dire solidissima, ma di certo migliorerà ancora anche quanto a tecnica che pure già raggiunge livelli elevati), buona musicalità e un modo di suonare tutto russo. Dunque forti corposi, vigore da vendere e velocità impressionanti; con queste premesse le due Rapsodie lisztiane proposte (la n° 10 e l’immancabile ‘pistolotto’ dell’effervescente n° 2) hanno innescato entusiasmi alle stelle. Virtuosa, sì, ma – per dire – un Liszt tutto giocato solo su forza e rapidità, con lo Steinway d’ordinanza che a tratti pare ruggire, rischia di mettere in ombra altri valori. Peraltro alla Kern non difettano fluidità, scioltezza e bel cantabile (lo Studio di Chopin op. 25 n° 1, che ha lasciato ammirati, mentre l’op. 25 n° 2 aveva un che di eccessivamente ‘accademico’ e anche nell’op. 25 n° 10 c’era qualcosa di irrisolto).
In apertura di serata – vestito color champagne, con balze e volants, un poco frou-frou – aveva offerto le beethoveniane Variazioni sul tema ‘La stessa, stessissima’ dal Falstaff di Salieri, pagina niente affatto eccelsa, affrontata con eccessi energetici un po’ fuori stile, pulizia e nitidezza, ma curiosi e improvvisi scoppi di sonorità. E anche questa volta le pur gradevoli Variazioni non sono riuscite ad emergere, finendo relegate nel limbo dei lavori convenzionali, sia pure con qualche arguzia qua e là. Poi lo schumanniano Carnaval. Bel suono, brillantezza dove occorre e delicatezze, ma Paganini era fin troppo esagitato, Chopin mancava di poesia e di souplesse. La Kern ha inteso privilegiare anche qui il lato virtuosistico che le è certo congeniale, a scapito dello scavo interiore. Quasi timorosa di centellinare con semplicità (come fanno i grandi, come faceva Michelangeli) e inoltre sembra prendere troppo sul serio il Carnaval che, nella sua interezza, invece è anche humour, è anche andamento smagato… e da ultimo, nella Marcia dei fratelli di Davide contro i filistei costituisce la cartina di tornasole (impietosa) delle ferali nevrosi di Schumann. E allora occorre farlo capire, occorre metterne in luce la frammentarietà meravigliosa e inquietante, quel farsi e disfarsi delle frasi, quel coagularsi attorno a ricordi e reminiscenze; e le auto citazioni ed altro ancora, e non solo privilegiare la possanza di una marcia quasi orchestrale. Detto questo la Kern è giovane, ultra talentuosa, ed è già bravissima. Se crescerà ancora e saprà approfondire, affinare, scavare, tra qualche anno probabilmente sarà un’interprete di prima grandezza.
Ben tre i bis, ancora nel segno del funambolo Rachmaninov a ribadire la caratura del suo virtuosismo. E ci piacerebbe ri-ascoltarla, ma in qualcosa di poetico e intimista, per dire, un Intermezzo di Brahms e poterla ammirare a tutto tondo, non solo in veste di pur eccellente acrobata.
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