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Opera • Al Teatro Comunale la penultima opera di Giuseppe Verdi in un allestimento immerso nella dimensione religiosa, con una compagnia in cui spicca la Desdemona di Virginia Tola. Ancora una replica il 15 marzo in diretta web e tv
di Irene Sala
S ono passati otto anni dalla prima rappresentazione del colosso Aida, quando Giuseppe Verdi riceve una bozza incompleta del libretto di Arrigo Boito sul soggetto shakespeariano Otello. Siamo in piena kermesse pro Wagner, e Verdi sa di trovarsi ad un bivio se vuole continuare a comporre dopo questo lungo silenzio: «fare il wagneriano o parlare un nuovo linguaggio» (Tintori). La risposta arriverà il 5 febbraio 1887 alla Scala con la prima di Otello, dramma lirico in quattro atti, preludio all’ultima fatica del Maestro che sarà il Falstaff. Giungiamo ai giorni nostri: il Teatro Comunale di Modena celebra il bicentenario verdiano con una nuova coproduzione dell’Otello insieme alla Fondazione I Teatri di Piacenza, nell’allestimento originariamente creato per il Teatro di San Carlo di Napoli acquisito dal Teatro Regio di Parma, in scena domenica 10, martedì 12 e venerdì 15 marzo. Scelta coraggiosa e poco scontata, che ha portato con sé anche la creazione di un fumetto dell’opera e la diretta streaming web e tv (in programma il 15 marzo ore 19.00).
L’argomento focale che accende il carteggio Verdi-Boito sull’opera è la difficoltà di conciliare l’attenzione filologica che il testo di Shakespeare meriterebbe con l’esigenza di chiarezza richiesta dall’impianto melodrammatico. Non vogliamo dire che l’opera per sua natura banalizzi la tragedia shakespeariana, ma se è vero che, come sostenne George Bernard Shaw, il melodramma non è altro che «la storia di un tenore e di un soprano che vogliono andare a letto insieme e di un baritono che glielo impedisce», si può comprendere come compositore e librettista non vogliano disattendere l’orizzonte di aspettativa del pubblico dell’opera. A tale scopo scelgono, quindi, di sacrificare alcuni aspetti quali la complessità psicologica dei personaggi originari o tagliare per intero il I atto veneziano della tragedia, ambientando la vicenda direttamente a Cipro. Decidono, inoltre, di appiattire il bipolarismo Otello vs Jago al mero aspetto di opposizione manichea tra bene e male.
L’impronta registica di questa produzione, firmata da Pier Francesco Maestrini, insistendo sulla sfera religiosa della contrapposizione tra cielo e inferno, tra positivo e negativo, ha voluto forzare tale aspetto. E così vediamo altarini e crocefissi a profusione e fondi scenici che troppo ricordano le sembianze di una chiesa, rimandando a una dimensione sacrale che in Verdi è meno presente. Evidente, ed eccessivo, è il gesto di Otello del IV atto quando, prima di soffocare Desdemona e uccidersi, si strappa dal collo il crocefisso e si inginocchia in preghiera ad Allah, rinunciando alla sua cristianità per un ritorno all’animo musulmano. I protagonisti dell’opera incarnano tre principi assoluti: Otello è la Gelosia, Jago è l’Invidia, Desdemona è il Bene. Come sostenuto da Verdi, Otello è colui che agisce: «Ama, è geloso, uccide, e si uccide» subendo l’influenza delle due sfere del bene (Desdemona) e del male (Jago). Nell’«Esultate», cavatina di Otello, il protagonista avrebbe dovuto, secondo le indicazioni contenute nel libretto, cantare da una posizione sopraelevata, così da rappresentare metaforicamente il vertice più alto che precede e accentua il suo tracollo verso il rovinoso finale. Questo suggerimento non è stato accolto dalla regia.
L’Otello del tenore Kristian Benedikt, seppur ben rispecchi esteriormente il moro dalle origini mediterranee, non si rivela all’altezza delle aspettative del ruolo, poiché debole nella vocalità e poco sicuro nella dizione. Jago è il demone vestito di nero e anche il personaggio che ha suscitato maggiore interesse in Verdi. La sua mimica deve sempre mantenere un atteggiamento benevolo, una finta onestà che conservi l’ambiguità del personaggio originale. Il baritono Alberto Mastromarino convince di più, come presenza scenica e come prestanza vocale, anche se nel «Credo» non abbastanza da meritare l’applauso. Come scritto nella partitura di Ricordi, questo è un punto chiave per Jago perché per la prima volta la sua fisionomia cambia, rivelando il vero ghigno e la potenza di voce con «atteggiamento sardonico e fiero». Il personaggio apparentemente più debole e insignificante per Verdi, ovvero Desdemona, quasi insipida e priva di carattere rispetto alla versione shakespeariana, è l’interprete che più colpisce il pubblico modenese. Molto toccante l’interpretazione del soprano Virginia Tola dell’«Ave Maria» nel IV atto.
Ad un allestimento davvero raffinato e di qualità, per le scene di Maurizio Carosi e i costumi pregiati nella fattura e nei colori di Odette Nicoletti, non ha corrisposto altrettanta eleganza nella direzione musicale e nella prova dell’Orchestra Regionale dell’Emilia Romagna diretta da Maurizio Barbacini, da cui ci si aspettava più limpidezza nei confronti di una partitura che ha ormai rinunciato ai dettami dell’uso delle forme chiuse per privilegiare un continuum del flusso musicale. E con un po’ di “amaro in bocca” cala il sipario sul “cioccolatte”, ricordando col sorriso come Verdi, Ricordi e i loro collaboratori solevano chiamare l’Otello agli albori, per camuffare e preservare il mirabile progetto che sapevano di avere tra le mani.
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non si rivela all’altezza delle aspettative del ruolo?
Irene …Have you seeing a better Otello for the past 10 years Italy?
Or do you think his presence, and voice are nor entirely overtaken the audience into that tragedy? His dramatic dark voice is excellent for the music and the role.