Opera • Prosegue al Teatro Massimo la rappresentazione della Tetralogia con la direzione musicale di Pietari Inkinen e la regia di Graham Vick
di Monika Prusak
A distanza di un mese Graham Vick torna al Teatro Massimo con La Valchiria, prima giornata de L’anello del Nibelungo, il cui nuovo allestimento è stato prodotto a Palermo in occasione del bicentenario wagneriano. Una scenografia più elaborata di quella del precedente Prologo, ma che comunque rimane essenziale, apre la scena con il ricordo del matrimonio di Sieglinde e Hunding, nella loro casa, ove i numerosi ospiti ubriachi approfittano della sposa in presenza del neomarito. Vick inserisce quindi nel dramma una scena nuova, portando lo spettatore sin dall’inizio in una dimensione violenta che presenta una donna infelice e sottomessa. L’arrivo di Siegmund costituisce in questa atmosfera una salvezza irrinunciabile e anche quando i due si riscoprono fratelli, l’amore e l’attrazione fisica sono ormai troppo profondi per poter essere disconosciuti. Quello che colpisce da subito è il senso di fisicità che il regista impone agli atteggiamenti dei protagonisti; tale aspetto varia a cambiare della situazione, sfiorando spesso i limiti della volgarità e della violenza. Vick evidentemente difende l’amore nel momento in cui pone in diversi punti della platea alcune coppie, anche omosessuali, che si abbracciano teneramente, ma allo stesso tempo sconvolge lo spettatore, mostrando crude violenze fisiche nella scena delle Valchirie. Viene anche sorprendentemente accennato il legame fisico tra Wotan e la sua «superba figlia», Brünnhilde, alla quale il padre, dopo la sua disobbedienza, non potrà più offrire il suo «amoroso saluto». L’unica a rimanere ferma nella sua assolutezza è Fricka, moglie di Wotan, ormai anziana e ancora più disperata di quanto l’abbiamo conosciuta nel Prologo. La donna è cosciente dei numerosi tradimenti del marito, e rimane insensibile all’amore incestuoso tra Sieglinde e Siegmund, che deve essere soffocato per rispetto del temibile Hunding.
La rappresentazione della Prima giornata si mostra più suggestiva e coinvolgente per la scenografia (scene e costumi di Richard Hudson), ma anche per l’ampio spazio che Vick lascia alla recitazione dei singoli protagonisti, limitando la folla di mimi che nel Prologo rendeva alcune scene fin troppo confuse. Il secondo atto è ambientato in una roulotte nei pressi di una montagna dove vive Wotan. Vi è un grande senso di decadenza in questa scena scarna ed essenziale, un senso che pervade l’ambiente e i personaggi, e dalla quale il protagonista non si libererà fino alla fine dell’opera. La Cavalcata delle Valchirie del terzo atto si movimenta notevolmente, per poi svuotare il palcoscenico al momento del dialogo tra Brünnhilde e il padre. Wotan spoglia la figlia dell’immortalità – ma anche dei vestiti – e allo stesso tempo il teatro viene spogliato della scenografia, lasciando le quinte nude e indifese. Il padre fa addormentare Brünnhilde in un sacco per cadaveri, ma mosso da un’improvvisa compassione, chiama Loge, il dio del fuoco, per assicurarsi che soltanto i guerrieri migliori potranno avvicinarsi alla figlia. Loge si materializza in numerosi cloni che, seduti con nonchalance attorno al sacco e con le sigarette accese, creano un cerchio protettivo di fuoco, regalando una splendida immagine infernale dantesca.
Come nell’Oro del Reno, anche questa volta il cast degli interpreti è stato ben assortito, iniziando da Sieglinde di Ausrine Stundyte, dotata di una vocalità imponente e di una notevole scioltezza scenica. John Treleaven, nei panni di Siegmund, è un eroe poco eroico, ma è appunto così che lo presenta Vick: tra tutti i protagonisti maschili egli è l’unico a nutrire rispetto per le donne. Fricka di Anna Maria Chiuri rispecchia il carattere deciso e autoritario della donna di casa: anche nella scena del duello tra Hunding e Siegmund, Fricka appare in uno dei palchi laterali per controllare se Wotan manterrà la parola a lei data. È particolarmente ben predisposto per il ruolo di Hunding il basso Alexei Tanovitski, per la sua statura atletica da una parte e per la voce aspra e rude dall’altra. Non è forse casuale il costume in stile neonazista, accompagnato da tatuaggi e attrezzi che ne risaltano l’appartenenza. È stata scenicamente molto coinvolgente la Brünnhilde di Lise Lindstrom, che però ha presentato qualche debolezza dal punto di vista vocale, tenendo conto tuttavia della complessità della scrittura di Wagner per questo ruolo. Tra le rimanenti otto valchirie, tutte abilissime dal punto di vista scenico, meritano una segnalazione le voci di Julia Borchert (Ortlinde), Annette Jahns (Schwertleite) e Kremena Dilcheva (Siegrune).
Ci rimane un solo personaggio maschile, uno dei due veri protagonisti della rappresentazione palermitana, ovvero Wotan, recitato e cantato con maestria da Franz Hawlata. Il suo Wotan evolve nel corso dell’opera mostrando numerose sfumature comportamentali e caratteriali di un uomo maturo e provato, di un padre amoroso che, nonostante sia obbligato a punire i comportamenti dei propri figli, ascolta fino alla fine i loro desideri. Il protagonista sembra prevedere tutto sin dalla sua prima apparizione nel secondo atto, trasmettendo quel senso di decadenza e di malinconia che lo accompagna fino all’ultimo saluto con Brünnhilde. La musica di Wagner è stata la seconda protagonista della rappresentazione. Grazie alla direzione più incisiva di Pietari Inkinen, l’orchestra è giunta a quell’espressività che era mancata nel precedente Prologo. Inkinen lavora sui timbri sin dalle prime scene, concentrandosi sui singoli motivi, ma anche sulla resa di insieme, pervasa da forte sentimento e passione. Il direttore cura bene gli impasti e le dissonanze, rende più viva la dinamica e l’agogica, ma si ritira al punto giusto nei momenti cruciali dei solisti, come nelle ultime scene con Wotan e Brünnhilde, nelle quali l’orchestra contribuisce a rendere i quadri ancora più riflessivi e coinvolgenti.
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