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Opera • In scena al Teatro alla Scala l’ultima giornata della Tetralogia di Wagner diretta da Daniel Barenboim, regia di Guy Cassiers
di Luca Chierici
Con un discusso ritardo rispetto al calendario originale, Daniel Barenboim è tornato alla Scala il 30 Maggio a dirigere l’ultima opera del “suo” Ring, una Götterdämmerung tenuta a battesimo due settimane prima da Karl-Heinz Steffens. L’opera verrà replicata fino al 7 Giugno per lasciare il posto, nelle settimane del 17 e del 24 dello stesso mese, alle due rappresentazioni integrali del ciclo a distanza ravvicinata, traguardo più volte programmato alla Scala ma per vari motivi mai realizzato.
La Götterdämmerung può essere ascoltata anche come incastro sapiente dei leitmotive che costituiscono la struttura portante delle giornate precedenti, e questa è sicuramente la migliore guida sulla quale lo spettatore possa contare per districarsi nella foresta di riferimenti e di connessioni che rendono così complessa la partitura di questo elemento conclusivo del Ring, dove si assiste a una resa dei conti della vicenda leggendaria che è alla base della Tetralogia, che è poi metafora della storia dell’umanità.
La visione musicale unitaria richiede un’altrettanto unitaria lettura registica, che Guy Cassiers ha ovviamente portato a compimento utilizzando gli elementi di base che erano stati impiegati nel Prologo e nelle due giornate precedenti. Elementi che venivano simbolicamente richiamati nel bassorilievo Les passions humaines di Lambeaux già presentato nel Rheingold, sul quale si chiude il sipario. Il groviglio di corpi illustrato nel bassorilievo suggeriva anche l’idea di un macabro reliquiario ospitato in grandi teche che adornano il palazzo di Gunther e dei Ghibicunghi, possibili reperti di antichi guerrieri morti in battaglia o quasi un accenno alle inquietanti ampolle che si possono esaminare in certi musei di storia naturale, nelle sezioni un tempo “proibite” dedicate alla teratologia. Sulla contrapposizione tra l’elevato mondo degli Dei e il perverso mondo degli uomini gioca la regia di Cassiers, che però ci ricorda come le due realtà siano accomunate dalle stesse efferate dinamiche e alla fine soccombano entrambe in un totale disfacimento.
I video di Arjen Klerkx e Kurt D’Haeseleer erano sempre più invasivi e non contribuivano più di tanto a un efficace commento degli eventi, né ci sono sembrati particolarmente indovinati i costumi di Tim Van Steenbergen, che giungono a trasformare la partita di caccia dell’atto terzo in una educata sessione venatoria molto british. Poeticamente ben trovata è l’intuizione – dovuta a Enrico Bagnoli – di proiettare sulla parete destra del palcoscenico le silhouettes dei protagonisti dando luogo a una duplice chiave di lettura grazie al fatto che i profili degli stessi sembrano invitare a una visione più classica e “pura” degli eventi.
Motivo di grande interesse in questo Ring era quello di poter ascoltare gli stessi interpreti vocali, che assicuravano una opportuna omogeneità di ascolto. Giustamente applaudita per la sua impeccabile prestazione è stata la Brünnhilde di Iréne Theorin, voce di grande spessore ma sempre piegata alle esigenze espressive, senza forzature e naturalmente portata a sostenere una tessitura impervia. La Theorin ha saputo mostrare con naturalezza i multiformi atteggiamenti di Brünnhilde, che nel corso dell’opera si trasforma da amante appassionata a più maturo personaggio che in fin dei conti accetta il tradimento dell’eroe come parte di un disegno superiore e alla fine si immola sul rogo ponendo fine alla maledizione dell’anello. Meno convincente che nel Siegfried ci è parso Lance Ryan, che là meglio si prestava a dar voce al giovane e baldanzoso eroe: nella serata cui abbiamo assistito si notavano vibrati che non ci erano sembrati così evidenti lo scorso anno e mancava in lui una raffinatezza di fraseggio in linea con certi momenti psicologicamente molto impegnativi che caratterizzano la sua parte nella Götterdämmerung. Notevole, anche se fin troppo raffinato per il suo ruolo è stato l’Hagen di Mikhail Petrenko mentre un poco sbiadito, anche se vocalmente eccellente era il Gunther di Gerd Grochowski e fin troppo esuberante la Gutrune di Anna Samuil. Ovviamente di grande spessore si è rivelata Waltraud Meier, accoratissima walkiria e assieme seconda delle Norne, ma di uguale valore erano anche tutti gli altri interpreti di una serata di successo. Di Barenboim abbiamo apprezzato soprattutto la superba lettura orchestrale dei momenti tradizionalmente più emozionanti dell’intera opera, in primis la Marcia funebre di Sigfrido e in genere tutta la conclusione della partitura immensa, anche se più di una volta gli ottoni dell’orchestra non hanno certo contribuito al perfetto raggiungimento delle intenzioni della stessa. È superfluo notare come la raffinatissima concezione del “tempo musicale” da parte del grande direttore abbia contribuito in maniera eccellente a definire il quadro generale dell’opera in una visione d’assieme che è traguardo particolarmente arduo da raggiungere in questo capitolo conclusivo della Tetralogia. Il pubblico non gremiva del tutto la sala e si è ahimé diradato durante i due lunghi intervalli che hanno contraddistinto uno spettacolo durato ben sei ore. Ma i molti superstiti hanno davvero seguito con grande concentrazione l’impegnativa serata.
Wagner – Götterdämmerung | Teatro alla Scala | 30 Maggio 2013 | Direttore, Daniel Barenboim
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ho assistito nei 4 anni a tutte le quattro opere, sono completamente soddisfatto che la Scala sia finalmente riuscita aquesta titanica …..impresa … la resa degli interpreti non è stata sempre all’altezza della titanica opera, brave le donne tutte…ma un poco scarsi gli uomini talvolta, come la resa del tenore (Sigfrido) molto al di sotto della terza opera …in complesso grandi serate di grandissima musica….