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Opera • In un’edizione di particolare fascino, con le scene dell’artista giapponese Mariko Mori, la regia di Alex Rigola e la direzione d’orchestra di Omer Meir Wellber, fino al 30 giugno è in cartellone al Gran Teatro La Fenice il titolo pucciniano, protagonista Amarilli Nizza
di Elena Filini
Orientali e yankee, inganantori ed ingannati, l’umanità non si compone di contraddizioni. Tutti fallibili e tutti insieme innocenti, definiti dal bianco, colore dell’aurora e della rinascita continua. È la pietas orientale, il profondo, irrazionale legame tra esseri animati a muovere le fila di Madama Butterfly secondo Mariko Mori, opera d’apertura del Festival “Lo spirito della musica di Venezia” al Gran Teatro La Fenice di Venezia venerdì 21 giugno (la stampa è stata invitata alla generale del 19 giugno). Non solo elegante: piena di grazia, serena e insieme icona perfetta del Giappone moderno, tra cyberspazio e tradizione, resistenze culturali, manga ed elettronica. La fusione dei linguaggi, il mondo dei cartoon e le icone zen si sposano alla tecnologia in una visione lunare del racconto pucciniano.
La Fenice aveva già abituato la platea agli allestimenti dell’opera pucciniana in stile japan. L’edizione del 2009 (mutuata dal Petruzzelli di Bari per la regia di Daniele Abbado) aveva inscatolato la storia di Cio-Cio-San in un cubo riflettente. La Butterfly 2013, realizzata in collaborazione con la Biennale d’Arte, scorre in una doppia dimensione dove alto e basso sembrano scivolare sul fondo di una pellicola candida. In questa bidimensione liquida appena interrotta da un paesaggio di pietre alla Takeo Ando fanno la loro comparsa tutti i personaggi: tinte candide, écru, impalpabili ali dalle sfumature pastello e divise bianche compongono il total white della scena, spezzato appena dal costume farfalla di Cio-Cio-San reso pop dal rosa fluorescente. Ad incombere prima, per irrompere in scena poi, è un’enorme scultura madreperlacea, che ricorda molto il WAVE-Ufo realizzato dalla stessa Mariko Mori per lo Eyebeam Art+Tecnology Centre di Chelsea (NY). Bozzolo, casa o simbolo dell’infinito? Tutto questo: rappresentazione visuale della vita che non muore, di Cio-Cio-San che si libra nell’aria, reincarnata in una nuova forma di vita.
La regia di Alex Rigola si muove su un piano di perfetta consonanza con la visione di Mariko Mori: tutto è aereo, impalpabile, i movimenti sono accennati, il corpo procede per intuizioni, tutto è asciugato ed ha la grazia spartana del teatro Nō. Giappone o fantascienza? Felicissimo straniamento, confermato nel secondo atto dal video di asteroidi e pianeti (e dalle acconciature della famiglia di Cio-Cio-San che fanno molto Carrie Fisher principessa Leyla di Star Wars), che rendono il sonno d’attesa della geisha intimo ed insieme universale, la notte dei dolori e delle disillusioni di ogni opera del creato nella galassia. E la morte della geisha è trasformazione: il corpo mortale ci abbandona e diventa crisalide, riempiendo la scena di farfalle pop fluorescenti che si librano leggere sopra i nostri mali, sopra i confini e le definizioni, a dare consistenza ad una messa in scena di immacolata e stupefatta perfezione.
Sotto il profilo musicale si segnala la prova interessante di Omer Meir Wellber. Per due anni assistente di Daniel Barenboim a Berlino (Staatsoper Unden der Linden) e alla Scala, il giovanissimo direttore israeliano ha siglato un doppio prestigiossissimo debutto: all’inaugurazione della stagione areniana con l’Aida del centenario, alterna infatti questa Butterfly. Una prassi oggi comune che tuttavia pare non appannare una lettura piena di tensioni e contrasti timbrici. L’idea della concertazione è quella di tempi serrati, di un ritmo che qualcosa in effetti toglie al languore pucciniano, ma che è perfettamente calibrato con l’idea registica.
Amarilli Nizza ha con la geisha pucciniana un rapporto di anni e conferme: non fallisce la sua Butterfly che, sicura e vocalmente ineccepibile, predomina sulla scena, acquistando accenti scenici di grande interesse soprattutto nella seconda parte del dramma quando diventa donna intera, forgiata dall’esperienza e dal dolore. Manuela Custer è una vocalmente buona e scenicamente perfetta Suzuki: giustamente salutata con grandi applausi, ha dato umanità e compassione al ruolo all’ancella confidente. Physique du rôle e voce brunita di notevolissimo interesse, il tenore basco Andeka Gorotxategui è un Pinkerton potenzialmente ideale, che acquisterà maggiore disinvoltura musicale con l’esperienza. Baritono nobile e figura scenica di elegante dignità è Vladimir Stoyanov nel ruolo di Sharpless. Nicola Pamio è un Goro di grande esperienza: occhiale nero e catena al collo, iPad in plexiglass, un perfetto imbonitore cafone.
Ha favorevolmente impressionato anche il basso-baritono William Corrò nel ruolo del principe Yamadori, ma positiva è stata la prova di quasi ognuno dei ruoli di fianco (in particolare il Commissario imperiale di Emanuele Pedrini e la Madre di Misuzu Ozawa). Emozionante infine il coro a bocca chiusa cantato in platea dagli artisti del coro diretti da Marino Moretti, in un silenzio quasi irreale.
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