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Opera • Ambientazione anni ’50 per l’allestimento del Teatro Regio, con la regia di Fabio Sparvoli e la scena unica di Saverio Santoliquido. Ottima la prova dell’orchestra e del direttore Giampaolo Bisanti, pregevoli gli interpreti vocali, in particolare Désirée Rancatore e Francesco Meli
di Attilio Piovano
F elice chiusura di stagione al Regio di Torino con l’Elisir d’amore, in assoluto assieme al Don Pasquale il più frequentato titolo donizettiano, vero e proprio evergreen che, non a caso, pur fondato su un’esile e naïve trama d’altri tempi, continua invariabilmente a riscuotere successo, strappando tuttora sorrisi complici e benevoli nei confronti del sempliciotto Nemorino e così pure verso lo scaltro e affarista Dulcamara; beninteso, se l’allestimento è di qualità, se sul podio sale un direttore raffinato, sensibile e scrupoloso e se il cast è di buon livello: tutti requisiti pienamente rintracciabili in questa nuova edizione del Regio, ultimo titolo del cartellone 2012/2013.
Di un bell’allestimento, esplicitamente ambientato negli anni ’50 del ’900, si tratta: per la regia di Fabio Sparvoli (che già firmò un Elisir al Regio nel 2007) e con i policromi costumi di Alessandra Torella, abitini stampati e paperine per le contadinotte, un look vistosamente kitsch tra il cialtrone di provincia (semi-mafioso) e il parvenu canaglia per Dulcamara e il suo assistente infingardo e connivente (nemmeno troppo vaga allusione all’accoppiata televisiva Franco Franchi & Ciccio Ingrassia, come a dire “il gatto e la volpe”). Scena unica, semplice e minimalista, quella ideata da Saverio Santoliquido: un’abitazione rurale con porticato e balconcino, dapprima sulla destra e poi semplicemente ribaltata in maniera simmetrica nel second’atto, un’aia resa con pochi tocchi naturalistici (una damigiana, rastrelli e attrezzi), sul fondo covoni di grano e un cielo ora terso e luminoso, ora crepuscolare (valide le luci, per lo più ambrate e calde, di Andrea Anfossi, ma opportunamente lunari per il clou emotivo di «Una furtiva lagrima», dall’allure squisitamente romantica. Bella l’idea di riquadrare il cielo con gli stessi elementi architettonici speculari del boccascena (il famigerato specchio acustico “a greca”, inserito anni or sono per migliorare l’acustica del teatro molliniano). Sparvoli (assistito da Anna Maria Bruzzese) fa muovere i personaggi con arguzia e humour, curando con calligrafica acribia i minimi dettagli della gestualità di tutti, non solo dei protagonisti, giù giù sino alla conclusione dello spettacolo, e perfino oltre: per dire, le varie chiamate dei cantanti vengono realizzate con fermo immagine dei singoli personaggi, come in un clip, ad evidenziare di volta in volta chi accoglie gli applausi, simpatica trovata di sicura efficacia, perfettamente in sintonia con il tono generale della regia. Una regia che restituisce appieno la godibilità del plot, senza inutili e caricaturali esagerazioni, senza fare di Dulcamara una macchietta, senza patetismi inutili per Nemorino.
Ed ora i cantanti. Désirée Rancatore (che ricordiamo con vivo piacere al Regio anni fa in una superba produzione dei Contes d’Hoffmann poi ancora in Rigoletto nel 2012) ha sbozzato un’Adina spiritosa e capricciosa come vuole la parte, ottima la sua presenza scenica e spigliata la recitazione. Sul piano vocale ha disimpegnato la parte con buona vocalità, tecnica sicura e partecipi accenti, meritatamente applaudita (e non solo nella toccante «Prendi, per me sei libero»). Ottimo il Nemorino del navigato Francesco Meli (di recente a Torino in Lucia e Traviata), apprezzato per le non comuni qualità vocali fin da «Quanto è bella, quanto è cara» e poi immancabilmente nel già citato cavallo di battaglia «Una furtiva lagrima», terreno di confronto per generazioni di tenori. Valido vocalmente il Belcore del baritono Fabio Maria Capitanucci (premiato nel 2012 alla I edizione del Premio Bruson), con appena un filo di eccesso qua e là nella gestualità, ma senza raggiungere toni fastidiosamente spacconi. Dall’ottimo Nicola Ulivieri, che tante volte abbiamo ammirato ed apprezzato in vari ruoli, ci si aspettava qualcosetta di più. Un Dulcamara a tutto tondo, il suo, eppure in «Udite, udite o rustici» mancava un quid di magnetismo, quello scatto che fa del personaggio un protagonista irresistibile e indimenticabile. A completamento del cast Annie Rosen, simpatica Giannetta, e Mario Brancaccio assistente di Dulcamara. Un Dulcamara che giunge a bordo di una fiammante Fiat 500 A, insomma una mitica Topolino (posta a disposizione da Gabriele Morelli del Club Topolino Fiat, Torino), naturalmente color amaranto, come nella canzone di Paolo Conte. E pazienza per il gap cronologico: per una ambientazione anni ‘50 ci voleva, per esempio, un’Appia furgoncino, o una 1100/103 Familiare, o anche una 500 C giardinetta belvedere, ma sono ubbie e scrupoli (maniacali) da innamorati delle auto di quegli anni, ci perdonino i lettori. Di fatto la Topolino (pur capolovoro ingegneristico del mitico Dante Giacosa che la progettò nel 1936) evoca meravigliosamente un mondo e dunque in scena funzionava benissimo (oggetto tra l’altro di alcune spiritose gags e “luogo scenico” ideale per far entrare e uscire coreograficamente e platealmente Dulcamara stesso).
Un plauso speciale al coro che, dopo la parziale défaillance dell’Italiana in Algeri, qui se l’è cavata benissimo, meritatamente applaudito (maestro del coro come sempre lo scrupoloso Claudio Fenoglio). Da ultima abbiamo lasciato intenzionalmente l’orchestra che ha fornito un’ottima prova guidata dalla bacchetta di Giampaolo Bisanti, quarantenne dalla brillante carriera internazionale al suo debutto al Regio: del quale s’è apprezzata l’estrema cura di concertatore, il bel gesto, la precisione degli attacchi, la capacità di tenere saldamente in mano l’intero palcoscenico, la scorrevolezza dei tempi, già dalle prime battute, gli equilibri sonori calibrati al millimetro e la coerenza della lettura del capolavoro donizettiano. Insomma, un’ottima direzione sotto tutti i punti di vista. Una doverosa sottolineatura per i recitativi ben disimpegnati al fortepiano da Luca Brancaleon. Nel corso delle nove recite, dopo la “prima” di venerdì 21 giugno, si alternano ai citati protagonisti Jessica Nuccio (Adina), Ivan Magrì (Nemorino), Vito Priante (Belcore) e Simone Alberghini (Dulcamara).
Ed ora pausa estiva, al termine di una stagione complessivamente di buon livello, come sanno i lettori che eventualmente ci avessero seguito. La stagione al Regio riprenderà il 9 ottobre con un nuovo allestimento del verdiano Simon Boccanegra. Ma gli appassionati torinesi di classica varcheranno ben prima la soglia del Regio, verosimilmente già la sera di giovedì 5 settembre per l’inaugurazione di MiTo con Haydn, Brahms e Mozart e l’Akademie für Alte Musik Berlin.
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