XX e XXI • “Opera per musica e film” ispirata al ciclo di fotografie sul sonno di Ferdinando Scianna, in scena al Teatro Massimo. Con i fantasmi di Ettore Majorana, Mauro de Mauro, Santina Renda
di Monika Prusak
«OGNI GIORNO, IN OGNI ANGOLO DEL MONDO SCOMPARE QUALCUNO»: con queste parole Roberto Andò e Marco Betta iniziano il loro viaggio nel mondo del sonno, quello riparatore che rilassa e dona conforto e quello eterno che annienta il corpo, ma non l’anima, vagabonda e senza quiete. Sono proprio le anime i personaggi di Sette storie per lasciare il mondo, “Opera per musica e film” ispirata al ciclo di fotografie sul sonno di Ferdinando Scianna, la cui prima esecuzione assoluta della nuova versione è andata in scena il 24 ottobre scorso al Teatro Massimo di Palermo. Il palcoscenico si riempie di fantasmi che ritornano per raccontare le loro avventure terrene e alcuni fatti accaduti anni fa, come le misteriose scomparse dello scienziato Ettore Majorana, del giornalista Mauro de Mauro e della piccola Santina Renda: storie diverse che hanno una fine comune e inevitabile, la morte. L’omogeneità del prodotto firmato Andò/Betta rende difficile concentrarsi sui singoli interpreti: è un amalgama, una macchina quasi perfetta, che porta avanti un progetto impegnativo dall’argomento scottante e profondamente ancorato nella terra siciliana.
Le fotografie di Scianna appaiono su due teli che delimitano il palcoscenico, ma anche in scena: una sorta di tableaux vivants rappresentati da attori. Il maggiore peso dello spettacolo posa sulla voce recitante di Donatella Finocchiaro, suadente e grave, che a tratti si sovrappone a voci registrate su nastro e a volte dialoga con le voci cantate dei due soprani, Gabriella Costa e Maria Chiara Pavone. A queste, si alternano le due inconfondibili voci dei Fratelli Mancuso, cantori di tradizione siciliana, e le voci toccanti e malinconiche del carrettiere Giovanni di Salvo e dei lamentatori dell’Associazione Culturale Memento Domini di Mussomeli. La scena rimane semibuia con personaggi eterei vestiti di colori pallidi (scene, costumi e luci di Gianni Carluccio), come nelle vecchie foto, un po’ impolverate e logorate dal tempo. Accanto ai ritratti di Scianna i teli mostrano brevi filmati (regia video di Luca Scarzella), documentari e non, tra cui le interviste sul sonno, il rito siciliano del Venerdì Santo, e infine una brevissima intervista a Giovanni Falcone, che manifesta il significato dell’opera e ne allontana il tono iniziale e metafisico. Un particolare senso di ironia trasuda dalla pellicola nella quale un gruppo di ragazzini crocifigge il compagno più debole, mentre un prete passa ignorando totalmente l’accaduto. La musica di Marco Betta non intende dominare l’opera, ponendosi, insieme agli effetti sonori di Giuseppe Rapisarda, come un intimo accompagnamento di tutto l’apparato scenico.
L’uso insistente degli archi, un pianoforte, a volte solitario, alcuni interventi degli ottoni: la scrittura di Betta, trasmessa dalla discreta e diligente bacchetta di George Pehlivanian, è attenta e scrupolosa, commovente ed equilibrata nei momenti d’insieme. La semplicità non banale delle armonie sottolinea il carattere diafano dello spettacolo. Le dinamiche si innalzano nei momenti puramente strumentali, per culminare in una sorta di happening finale di tutti, in cui gli attori passeggiano tra il pubblico a luci accese. Questa breve rappresentazione svela come il mondo “colto” e quello popolare possano coesistere in sinergia discordante, creando un’altra via possibile per il futuro dell’opera, non più lirica, ma altrettanto affascinante e forse ancora più attuale.
Sette storie per lasciare il mondo | Teatro Massimo di Palermo | Rappresentazione del 25 ottobre 2013
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