L’incontro con il soprano russo: i suoi ruoli, gli impegni, l’esperienza recente nell’opera Una sposa per lo zar di Rimskij-Korsakov nel ruolo di Marfa
di Ilaria Badino
UNA SPOSA PER LO ZAR rappresenta sia il Suo debutto alla Scala sia un’occasione per far conoscere un capolavoro della cultura del Suo paese d’origine, la Russia, al pubblico della Sua patria adottiva, l’Italia. Quali sensazioni, quali emozioni ha provato?
«È stata un’esperienza molto bella, non ero poi così nervosa. Mi stupisco di come a volte alle prime io sia tranquilla e vada dritta come un carro armato: è forse qualcosa che mi deriva dal karate, mi concentro. Credo che si debbano affrontare gli impegni senza fissarsi sulle aspettative; piuttosto, bisogna essere preparati, trovarsi nella massima condizione di salute, rilassati e riposati. È proprio perché volevo concentrarmi esclusivamente su questa produzione che ho cancellato tutti i concerti che mi sono stati proposti per il periodo delle prove a Milano. Mi erano state riportate leggende riguardo all’acustica della Scala, ma quando sono arrivata in città ho assistito, da posti diversi della sala, a cinque recite delle opere programmate in stagione con vari cantanti che già conoscevo in precedenza e ho capito che, se sai cantare, ti si sente. La stessa cosa vale per l’Arena di Verona: se si è in possesso dello squillo che fa correre la voce non si deve avere nessun paura e, soprattutto, bisogna assolutamente evitare di spingere. Per me era poi davvero importante far conoscere quest’opera al pubblico non solo italiano ma mondiale, perché è bellissima ed in ogni teatro russo, anche della cittadina più piccola, essa è sempre in programmazione. Il progetto è stato possibile grazie alla volontà di Barenboim e di Černjakov. Certo, la regia è discutibile, ambientata in un tempo astratto, però non lascia indifferenti: o la ami o la odi. È bene così, almeno per una volta tutti parleranno non del calcio, ma del teatro! Il nostro scopo è quello. Questo è il mio primo ruolo russo nel repertorio romantico, classico, dal momento che la prima parte che ho affrontato nella mia lingua madre è stato Le Rossignol di Stravinskij: non si può certo dire che sia così russo stilisticamente.»
L’abbiamo dunque appena ascoltata come Marfa, una parte molto diversa rispetto alle tante di coloratura a cui ci aveva abituati. Affronterà sempre più spesso scritture vocali piane del repertorio di metà-tardo Ottocento accanto al Belcanto?
«In realtà, quando mi hanno proposto il ruolo di Marfa, non lo volevo fare. Anche perché, egoisticamente pensando, i veri protagonisti sono i due cattivi, il mezzosoprano Ljubaša ed il baritono Grjaznoj. Quando cantavo da mezzosoprano – praticamente in un’altra vita! – ho eseguito le arie di Ljubaša, ed ho portato una di esse anche all’audizione per essere ammessa alle lezioni private di quella che sarebbe diventata la mia prima vera professoressa. Conosco la musica di quest’opera a memoria e so benissimo che, anche se come Marfa canterai benissimo, il successo maggiore arriderà sempre agli altri due personaggi. È pur vero che qui a Milano il pubblico apprezza se sai cantare, fa attenzione a come porgi la frase, al gusto, ma Marfa rimane comunque una parte che non dà tantissima soddisfazione come, invece, una Lucia di Lammermoor (per la quale, per essere applaudita meno del tenore, bisogna proprio cercare di fare male!). Vedremo come le cose si svilupperanno. Mi sento come se ogni recita di Una sposa per lo zar fosse una corrida, un continuo test per me: a volte capita che il Maestro stacchi dei tempi diversi dal solito ed io lo debba seguire; a volte, invece, sono io a prenderli differenti ed è lui, grande e sensibile musicista, ad assecondarmi.»
È stata anche Alcina a Losanna. Questa nel Barocco è stata un’incursione che rimarrà isolata?
«Sì, perché mi sento come un elefante in un negozio di porcellane. Mi avevano già avvisato allora di essere vocalmente cresciuta per questo genere di repertorio, ma lo trovavo comunque un esperimento interessante. L’unico altro ruolo barocco che mi piacerebbe cantare è Cleopatra: il massimo. Per il resto, c’è così tanto da provare nel repertorio italiano che non penso di dovermi dirigere anche verso il Barocco. Trent’anni fa c’erano professionisti di una fetta molto limitata di repertorio che eseguivano sempre e solo la stessa manciata di ruoli. La mia generazione ha superato questo incasellamento, però io non credo negli artisti che cantano tutto (è un qualcosa di molto personale: se si ha una tecnica giusta, comunque, ci si salva) e tutto bene, ma piuttosto che ognuno debba trovare la propria strada.»
Giungendo all’amato Rossini, finalmente il debutto come Amenaide! Cosa ancora Le piacerebbe cantare del genio pesarese?
«Ho già interpretato dieci ruoli rossiniani, non ne sono poi rimasti così tanti. Comunque, nel futuro (o nell’immediato o tra dieci anni) canterò tutti quelli che sono rimasti per soprano. Quest’Amenaide nasce da una proposta da parte di Mosca. In realtà avrei dovuto prendere parte ad un concerto di gala: ho deciso di cancellarlo e di debuttare in Tancredi diretta dal Maestro Zedda. L’orchestra, quando c’è lui, suona meravigliosamente: è fantastico, è capace di entusiasmare anche le sedie! Ha ottantasei anni ma più energie di tutti noi.»
Il prossimo importante debutto è quello presso il Metropolitan di New York in una parte che già conosce: Elvira nei Puritani. Sarà diretta dal Suo talentuoso marito Michele Mariotti. Anche se immagino parlerete anche di altro oltre all’opera…
«Sempre! »(Ride)
… ecco, meno male! Però, rimanendo sul terreno operistico, ci sono dei titoli che vi piacerebbe portare in scena insieme?
«Siamo un po’ fissati sul fatto che non dobbiamo essere ingaggiati sempre come coppia, anche perché quando ci siamo conosciuti avevamo già carriere avviate e parallele. Abbiamo cominciato ad imporci all’attenzione più o meno nello stesso momento e stiamo proseguendo bene, sia io che lui, e così deve continuare ad essere. Inizialmente, poi, eravamo refrattari anche solo all’idea di fare concerti insieme, immaginando che alcune persone avrebbero pensato male. Tutto è cominciato con Sigismondo: per lui si trattava del debutto al ROF, per me della quarta produzione (dopo Il viaggio a Reims, Otello e La scala di seta). Ci siamo conosciuti lì, la nostra coscienza è pulitissima. Adesso i teatri, sapendo che lavoriamo bene insieme, sono interessati a metterci sotto contratto per una medesima produzione; ma, avendo noi agenti diversi, veniamo a sapere che collaboreremo solo dopo che essi ci hanno comunicato la proposta! La storia di questi Puritani è lunga e nasce con la prima della produzione di Le Rossignol firmata da Lepage, andata in scena a Toronto nell’ottobre del 2009. Peter Gelb era presente: mi ha sentita e mi ha proposto subito Fiaker-Milli in Arabella, in programma al MET per l’aprile del 2014. Allora ero felicissima, dato che nessuno mi conosceva ancora come adesso; poi però, con il passare degli anni e la conseguente crescita professionale, mi sono ritrovata sempre più perplessa. Ho già interpretato Fiaker-Milli, a Lubecca: è un ruolo molto interessante che rimarrà scolpito nella mia memoria, ma si tratta di tre minuti di musica… che debutto sarebbe stato al Metropolitan? Io, da parte mia, non avrei potuto comunicare al teatro i miei dubbi ma loro, che non sono degli sprovveduti, hanno continuato a tenermi sotto osservazione. Sono venuti a sentirmi come Lucia a Berlino, come Matilde di Shabran a Pesaro, a Boston con la Boston Symphony Orchestra in tre concerti diretti da Dutoit ed hanno aspettato forse che uscissero le critiche su questi ultimi, che per quanto mi riguardava erano fantastiche, per modificare l’offerta: due giorni dopo, la mia agenzia ha ricevuto la proposta di cambiare il titolo da Arabella nei Puritani, allestiti più o meno nello stesso periodo. La cosa interessante è che la richiesta del cambiamento di ruolo è arrivata prima che ascoltassero il mio debutto come Elvira al Théâtre des Champs-Élysées, che sarebbe avvenuto due settimane dopo la proposta: a questo punto non potevo proprio fare male a Parigi! Soltanto dopo sono venuta a sapere che avrebbe diretto Michele. Per me lavorare con lui è come respirare: in questo modo è nato tutto. È un così grande musicista nonostante la tenera età… Lo stimo. Non è come nel caso Sutherland-Bonynge in cui uno dei due detiene la supremazia artistica (anche se Bonynge era un accompagnatore ideale): ci equivaliamo, e questo è importante. Però è brutto non vedersi per mesi. È stato triste che io non sia riuscita a raggiungerlo per la sua prima direzione a Chicago (alla Lyric Opera con Il barbiere di Siviglia, ndr), ma non era proprio dietro l’angolo e comunque io ero vincolata in Europa da una serie di debutti molto impegnativi come quelli a Zurigo ed alla Scala.»
Immagino che anche i problemi legati ai permessi non abbiano facilitato le cose, anzi.
«Permessi, jet-lag, dieci ore sull’aereo… Avendo un debutto alla Scala, non ci si può permettere di fare cose del genere. Se io e Michele stessimo a pensare anche alle malelingue, non ci vedremmo proprio mai! Per coordinare famiglia e lavoro, con la professione che facciamo, bisogna essere dei top manager.»
Impegni teatrali futuri e pubblicazioni discografiche in vista?
«Il prossimo settembre uscirà il dvd ufficiale di Una sposa per lo zar, di cui a Berlino sono state registrate la generale e la seconda recita, quest’ultima la peggiore del set per tutti. Io mi sono anche infortunata in scena, perdevo sangue da una gamba, anche se durante l’aria finale non ho sentito nulla come anestetizzata dall’adrenalina. Poi, però, i giorni seguenti zoppicavo… Si tratterà di un prodotto molto diverso rispetto alla trasmissione televisiva già andata in onda, dato che il montaggio è stato curato personalmente da Černjakov. Per quanto riguarda gli impegni teatrali, dopo Milano sarò al Metropolitan per I puritani, quindi in tournée con il Regio di Torino a Wiesbaden con L’elisir d’amore.»
Questo significa che ci sarà un impegno torinese nel prossimo futuro?
«Sì, l’anno prossimo faremo I puritani. In estate sarò ad Aix-en-Provence per una nuova produzione del Turco in Italia, che dicono sia molto bella ma della quale ancora non so niente; dirigerà Minkowski: con lui non ho ancora cantato nulla di rossiniano, ma immagino che i tempi saranno molto veloci. A settembre ci sarà Tancredi a Mosca, dopodiché andrò in Cina con i Vier letzte Lieder di Richard Strauss per quattro concerti diretti da Nagano.»
Proprio il programma di questa tournée cinese mi sembra particolarmente degno d’attenzione.
«Ci ricolleghiamo a quanto detto prima riguardo alle categorizzazioni vocali. La prima volta che mi chiesero di cantarli era in occasione di un festival live organizzato dal canale televisivo Arte, con la presenza di microfoni, ed accettai. Quando il direttore artistico mi aveva parlato di un progetto straussiano, credevo che intendesse Lieder o scene per soprano di coloratura, invece replicò: «No, no, i Vier letzte Lieder! Li sento lì, nella tua voce». Era il 2011 ed io reagii stupita domandano: “Cosa?”. Allora provai a cantarli con il mio coach americano a Berlino, Edwin Scholz, che mi disse di non aver mai sentito la mia voce raggiungere un suono così bello come in quel momento e che, quindi, mi consigliò caldamente di eseguirli in pubblico. Mi raccontò che furono scritti per Maria Jeritza, che aveva una vocalità leggera (tanto che forse adesso la Scala le affiderebbe la parte di Barbarina) e che più in generale Strauss voleva qualcosa di molto diverso dai “carri armati” che poi si sono imposti con la tradizione. La scrittura a volte vola sopra l’orchestra e, se si suona come indicato in partitura, cantare questi Lieder risulta comodissimo. Al festival c’era un’orchestra russa guidata da Dmitry Liss, fantastico musicista con cui mi ero già esibita. Ero molto preparata ed entusiasta. Alla prima prova con l’orchestra, però, ho sentito i violini attaccare agguerritissimi; allora mi sono fermata ed ho detto loro: “Ragazzi, per favore, non uccidetemi. Non sarò mai più forte di tutti voi: ci sono sette contrabbassi! Aiutatemi suonando quello che c’è scritto, ossia rispettando il diminuendo dell’orchestra, che riduce il volume a due pp ad ogni entrata del soprano”. Ho anche letto loro delle lettere. Ma questo è stato possibile grazie al contesto: non avrei mai potuto farlo se dall’altra parte ci fossero stati i Wiener Philharmoniker! Dopo questo concerto ho ricevuto tantissime proposte per eseguirli di nuovo, ma ho preferito aspettare che la voce crescesse. Ora mi sento pronta non solo per questi, ma anche per La traviata, che debutterò tra un anno a Losanna.»
Un altro punto interessante che meriterebbe di essere approfondito…
«Più o meno lo stesso discorso: mi hanno proposto Violetta per la prima volta nel 2008, subito dopo il mio debutto come Gilda, ma ho messo in chiaro sin da subito che avrei aspettato circa sette anni per cantarla. Non sono stata sempre un soprano di coloratura, so usare i registri medio e grave: una questione di tecnica ma anche una conseguenza del fatto che ho iniziato a studiare come mezzosoprano. Il mio lavoro quotidiano consiste nel rendere omogenei tali registri, senza che si notino gradini di passaggi (anche perché ormai dai soprani abbiamo sentito di tutto!). E poi per cantare Traviata bisogna essere pronti anche mentalmente, non si può farlo da ragazzine. Servono le esperienze di vita.»
Qual è stato, dunque, il percorso che L’ha portata a fare queste fondamentali esperienze di vita?
«Sono entrata in Conservatorio per studiare canto a ventidue anni: è tardissimo per un soprano! Anche per questo non ho perso tempo, non mi sono data ai festeggiamenti; per me la cosa principale era sopravvivere in Germania, un paese straniero in cui ero arrivata non avendo soldi e senza sapere la lingua. Ho dovuto cominciare da zero: quanti concerti ho fatto anche per 40 € negli ospedali… Ma tutto è esperienza e ne sono molto grata. Una volta mi s’è avvicinata una signora anziana in sedia a rotelle per dirmi che, mentre cantavo, il suo dolore svaniva: un ringraziamento bellissimo che ha mi ha fatto capire quale sia la responsabilità del mio mestiere. Dopodiché è stato tutto piuttosto veloce; tre anni dopo decisi che sarei dovuta entrare in un Opernstudio qualsiasi, dato che in Germania qualsiasi cittadina ne ha uno. Mi presero in quello di Amburgo e ci rimasi dal 2005 al 2007. Nel 2006 andai per la prima volta a Pesaro, dove frequentai l’Accademia rossiniana. Sono stati anni molto impegnativi, in cui ho alternato esperienze diverse: tanto comprimariato, passare da Mozart a Wagner dal mattino alla sera… Non sto dicendo che adesso lo rifarei, ma allora è stato utilissimo. È il principio della vita: trovare qualcosa di buono in ogni situazione.»
Il sogno impossibile?
«Carmen. Tra l’altro a quindici anni cantai, all’interno del coro di voci bianche, in una produzione del Mariinskij in cui Micaëla era interpretata da Anna Netrebko.»
Un’artista della Sua stessa corda che ritiene una guida?
«Mariella Devia. Ho preso alcune lezioni da lei l’anno scorso che mi hanno fatto molto bene. C’è poi un’analogia di percorso (dai ruoli più tipicamente belcantistici e leggeri verso quelli maggiormente drammatici) che credo sia per me molto utile. Mi piacerebbe andare da lei più spesso, ma non è facile trovarla libera. La sua longevità artistica è incredibile.»
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