Il melologo di Richard Strauss, denso e ricchissimo di simboli, eseguito al Maggio Musicale Fiorentino dal pianista e studioso Pietro De Luigi (che ha curato la prima traduzione integrale italiana) e dall’attore Luca Tironzelli
di Michele Manzotti
TRA MUSICA E TEATRO nel segno di Richard Strauss. L’anno del 150° anniversario della nascita del compositore coincide con quello della pubblicazione di Enoch Arden, poema di Lord Alfred Tennyson. Un testo che lo stesso Strauss ha poi ripreso anni dopo per un melologo. Questo lavoro, per pianoforte e voce recitante e con numero d’opera 38 è stato presentato al Maggio musicale fiorentino presso il teatro Goldoni. Pietro De Luigi, pianista e didatta che ha curato la prima traduzione integrale italiana (autore del recente volume Tracce per navigare nell’universo di Enoch Arden) e che è salito sul palco con l’attore Luca Tironzelli, ci ha parlato del testo e del suo legame con il linguaggio musicale.
Qual è secondo lei il principale elemento di “attrazione” di questo lavoro?
«È una storia di straordinaria efficacia, una vicenda che parla di mare e di amore. Pensi nel quando uscì nel 1864, il primo giorno di pubblicazione vendette 17mila copie. Nel giro di pochi mesi ne furono raggiunte 70mila, un successo per quei tempi veramente straordinario. Il poema fece scalpore e non solo per la fama di Tennyson. Poi ci sono delle cose poco conosciute ma importantissime. Il primo film in doppio rullo del 1911 è Enoch Arden: il regista David Griffith si impose sul produttore per aumentare la durata del film a mezz’ora. Le pellicole duravano 15 minuti circa e grazie a questa storia nacque il lungometraggio. E c’è un’altra curiosità: Elizabeth Arden, fondatrice della casa dei profumi, aveva un altro cognome e decise di chiamarsi Arden in onore del marinaio protagonista di questa storia».
Chi è Enoch Arden?
«Un marinaio coraggioso e intraprendente dopo un brutto tiro della sorte decide di fare un lungo viaggio in Oriente per guadagnare. È una storia che tra l’altro porto nelle scuole e facendolo in due tempi noto che i ragazzi (che non conoscono il soggetto) sono molto curiosi di sapere come prosegue. È un testo popolare con forte caratterizzazione simbolica e una complessità senza precedenti. Enoch Arden diventa un simbolo dell’umanità intera che sa redimersi e accettare le scelte della vita. È una storia dolorosa dove però i personaggi tendono a essere migliori. Ognuno fa la cosa giusta per sé e per gli altri, ma il dolore si crea comunque. Ricorda un po’ la tragedia greca, Tennyson però ha la capacità di trasformare il materiale più tragico in qualcosa di positivo. Lui faceva parte di una corrente teologica dell’anglicanesimo chiamata cristianesimo muscolare. Molti critici hanno parlato del poeta inglese come rappresentante dei valori dell’età vittoriana, ma al contrario ne coglie i limiti e tenta di dare delle risposte in maniera complessa».
Il rapporto del testo con la musica di Strauss?
«Il testo fu riproposto in versioni d’opera con librettisti che si ingegnarono a ricostruirne la storia fino a quando Strauss ne comprese le potenzialità. Scrisse un melologo comprendendo la popolarità del soggetto e lo propose nel 1897. Anche in quel caso il successo fu clamoroso, Strauss era ancora giovane e aveva appena pubblicato Also sprach Zarathustra. Diede un buon avvio alla sua carriera proprio calcando i maggiori teatri europei insieme all’amico attore Ernst von Possart accompagnandolo con il pianoforte. Il pubblico che viene ad ascoltare il melologo a volte è spiazzato dalla proporzione tra parte recitata e quella musicale che occupa uno spazio di mezz’ora su 70 minuti circa della lettura. In questo allestimento al Maggio Luca Tironzelli propone invece un Enoch Arden con prassi teatrale, tutto recitato a memoria e dilatato a 90 minuti».
Come mai ha deciso di affrontare la traduzione?
«Iniziai a eseguire Enoch Arden perché lo eseguiva abitualmente già un mio maestro di perfezionamento, Mario Delli Ponti. Era però una riduzione di Riccardo Allorto. Quando decisi di portare la composizione nei licei, feci sentire il brano ad alcuni miei amici insegnanti. Dopo averlo ascoltato mi dissero che era interessante, ma che se volevo interessare gli studenti toccando più materie (dalla filosofia all’inglese) dovevo presentare un testo completo perché c’erano molte decurtazioni e passaggi vuoti. A me la storia era piaciuta molto e pensavo già di fare delle lezioni concerto in breve tempo, ma per fare la traduzione ci vollero almeno due mesi».
Entrando nello spirito del testo, cosa ha trovato da poter evidenziare?
«Arrivai sfinito quasi alla fine del lavoro e trovai una delle ennesime perifrasi di Tennyson. Conteneva uno strano simbolo numerologico sulla durata di un anno che non riuscivo a tradurre. Mi sono ricordato che c’era un Enoch biblico e sono andato a leggere le parti che parlavano di lui: egli era il settimo dei patriarchi e visse 365 anni. Molti meno degli altri patriarchi tra cui il figlio Matusalemme che ne visse 970. Da lì ho scoperto una miniera di simbologie numerologiche. È una storia toccante e mi sono accorto solo dopo la mia traduzione, la prima integrale italiana con l’autorizzazione di chi detiene i diritti, che ci sono degli elementi di simbologia senza precedenti».
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