La regìa di Alvis Hermanis ambienta il titolo verdiano in una pinacoteca italiana, la “guida museale” è Anna Netrebko. Daniele Gatti ha diretto i Wiener Philharmoniker
di Irene Sala
È UN MUSEO CHE SI ANIMA Il trovatore verdiano firmato dal regista lettone Alvis Hermanis per il Festival di Salisburgo 2014, dove i protagonisti dell’opera, ora muniti di moderna divisa da guide e custodi con targhetta nominale, ora in purpureo costume rinascimentale, accompagnano gli spettatori nella visita immaginaria che racconta la storia tratta da El trovador di Gutiérrez. Sullo sfondo non più la Spagna del XV secolo, bensì l’Italia: celeberrimi quadri del quattro-cinquecento italiano sembrano prender vita per narrare – come diapositive – le vicende del passato e le azioni del presente perpetuate dai personaggi in scena. E allora una “carrellata” di immagini di maternità sfila dietro Azucena, il Cristo sulla croce diventa metafora di sacrificio, il museo viene spogliato delle opere come “orrido” carcere. Inizialmente l’idea registica di Hermanis, che l’anno scorso ha firmato un’apprezzata regia dei Soldaten di Zimmermann, colpisce assai positivamente; ma con l’incedere degli atti questa non viene sviluppata, non ha evoluzione, rimanendo uguale sino alla fine e perdendosi in una ripetitiva e confusa dimensione di onirica realtà.
Applauditissima “guida museale” è il soprano russo Anna Netrebko, che incanta con la sua intensa interpretazione di Leonora, soprattutto nella splendida cabaletta «Tu vedrai che amore in terra» del IV atto. Ottima prova anche per il Conte di Luna, il baritono polacco Artur Ruciński, chiamato a sostituire l’indisposto Plácido Domingo nelle ultime tre recite, e di Marie-Nicole Lemieux, una Azucena raffinata che però non toglie grinta al personaggio. L’unico che non lavora per il museo, e che vediamo vestire sempre i costumi rinascimentali, è il trovatore Manrico, il tenore Francesco Meli, che conferma le sue doti vocali anche nei ruoli più drammatici.
Guida l’opera verso il trionfo di questa ultima recita de Il trovatore, nella gremita Großes Festspielhaus, l’elegante e pregiata lettura di Daniele Gatti, che sul podio dei Wiener Philharmoniker valorizza le rare capacità artistiche del cast e di un’orchestra che ancora una volta si conferma regina del suono.
I tuoi articoli – che di tanto in tanto leggo – hanno la caratteristica della semplicità e della facile lettura anche per chi – come me – non sa nulla di musica. Afferma Raffaele La Capria che ” la semplicità è un punto di arrivo e non di partenza…”: pertanto sei già ad un ottimo punto. Auguri ! Achille
Condivido in toto la recensione di Irene.Grazie
Complimenti, Irene, sempre più in alto. Achille