All’Opéra Royal la direzione salda di Paolo Arrivabeni per il titolo pucciniano. Bene il cast vocale, magnetico Ruggero Raimondi
di Attilio Piovano
UN VERO TRIONFO per Tosca, presso l’Opéra Royal de Liège Wallonie, a fine serata, il 20 dicembre 2014. E dire che durante la rappresentazione il folto e fin troppo composto pubblico pareva come ipnotizzato e – verosimilmente – quasi timoroso di interrompere la rappresentazione con gli applausi nei punti topici che pure, di solito (quanto meno nelle nostre contrade) innescano i consensi di fans e melomani incalliti. Ed ecco che, a maggior ragione, gli applausi copiosi e pienamente convinti fioccati al termine dello spettacolo, quasi catartica esplosione, hanno ripagato appieno solisti, direttore, regista, scenografo e professori d’orchestra, decretando un trionfo per l’amato titolo pucciniano, vero e proprio evergreen di fronte al quale anche il compassato pubblico belga non riesce certo a trattenere l’emozione. A buon diritto, dacché di una Tosca di ottimo livello si è trattato con un cast omogeneo e ben affiatato, un’assai valida direzione, una regìa perfettamente funzionale e le emozioni non sono dunque mancate.
Paolo Arrivabeni dal podio ha governato con mano salda orchestra, solisti e palcoscenico imprimendo giusti tempi, cesellando con cura fraseggi e singoli dettagli, ma nel contempo delineando per grandi pennellate i singoli quadri dei tre dissimili atti. Ed è stato un crescendo progressivo, già a partire dal primo atto: dapprima il chiacchiericcio lepido del sagrestano, poi il pathos dell’incontro tra Cavaradossi e Angelotti, le schermaglie con Floria Tosca e le profferte d’amore, infine il fastoso Te Deum con tanto di voci bianche, sul quale s’innesta la perfidia insinuante del barone Scarpia. Ottima la prova fornita dall’orchestra, già in apertura, per souplesse e precisione, poi nella scena di insieme. Quindi il second’atto nel quale Arrivabeni ha ben riservato speciali e attente cure volte ad evidenziare i vari livelli musicali e drammaturgici della partitura: e allora la musica fuori scena (mirabile calco stilistico di settecentesche gavotte) e la pregnanza tragica della tortura, ma anche la colloquiale scioltezza iniziale di Scarpia e Tosca che ben presto volge in drammatico apice, giù giù sino al ferale epilogo con l’efferata uccisione del malvagio Scarpia. Poi il canto del pastorello e le distillate e quintessenziate atmosfere della rugiadosa alba romana, irrorata di tinnuli e sempre più animati scampanii: assai ammirata la placida pacatezza con la quale Arrivabeni ha ‘staccato’ il tempo di «Lucevan le stelle», quindi la misurata e calcolata dimensione del colloquio ultimo fra Cavaradossi e Tosca e infine la serrata svolta che repentinamente chiude l’opera in un clima di tragica grandezza.
L’ottima Barbara Haveman – vocalità sicura, superba presenza scenica e un indicibile pathos – ha dato corpo ad una Tosca a tutto tondo, dalle mille sfumature psicologiche. In Vissi d’arte ha regalato notevoli emozioni (e gli applausi – s’è detto – sono giunti significativi al suo indirizzo specie durante le varie ‘uscire’ in palcoscenico a fine spettacolo), molto efficace il suo tener testa a Scarpia, l’accorato duetto nel terz’atto con Caravaradossi laddove gli illustra la presunta fucilazione simulata, la sua narrazione di come uccise Scarpia rivissuta psicologicamente, vera sorta di transfert anche nei movimenti simmetrici rispetto al second’atto, poi l’epilogo. Pur evitando tratti vistosamente veristi ha saputo peraltro dar voce alla disperazione nei punti giusti. Il belga Marc Laho (al suo debutto nell’impervia parte di Cavaradossi) le ha ben tenuto testa (assai apprezzato il suo «Recondita armonia», sale bene, ha generosa vocalità, così nel finale «Lucevan le stelle» dai palpitanti accenti).
Ad interpretare Scarpia è stato chiamato l’esperto ed ultra navigato Ruggero Raimondi, una vita sulle scene e centinaia e centinaia di interpretazioni dei teatri di tutto il mondo. Continua a possedere un magnetismo ed una presenza scenica invidiabili, nonostante i dati… anagrafici e quanto a vocalità è tuttora insuperabile interprete in grado di restituire al repellente personaggio tutta la sua diabolica cattiveria, sicché giganteggiava sulla scena, comme il faut. A fine serata il privilegio di poter incontrare direttore e interpreti; e allora è stata l’occasione propizia non già per vere e proprie interviste (l’ora era tarda, ovviamente) bensì per una battuta, uno scambio di opinioni. A Raimondi che per l’appunto interpreta Scarpia da lunghi decenni abbiamo chiesto se ancora prova emozione nell’entrare nella parte. Ci ha risposto con semplicità: «Ho interpretato moltissime edizioni di Tosca: ognuna è diversa». Barbara Haveman alla quale proponevamo di sintetizzare in una frase il personaggio ci ha detto che in Floria Tosca ci sono «fermezza e dolcezza», come darle torto, un personaggio femminile di forte individualità che non a caso tuttora seduce le platee di tutto il mondo. Più lungo e articolato il colloquio con il simpatico ed estroverso Marc Laho: la sintesi è il suo entusiasmo nell’aver debuttato nella parte, «per me – ci ha detto – il culmine, il top dei personaggi pucciniani scritti per il mio registro di voce». Scambio di pensieri anche con il direttore Paolo Arrivabeni che dichiara un amore speciale per questa partitura che ebbe l’onore di dirigere la prima volta il 14 gennaio 2000 in occasione del 100° dell’opera stessa a Piacenza; «Per me Tosca – afferma – è emozione allo stato puro».
Tra i comprimari da citare il valido Angelotti di Roger Joakim, il simpatico sagrestano sbozzato da Laurent Kubla con garbo, gusto e senza eccessi né inutili gigionismi. Un che di ipercinetico e ‘nevrotico’ nello Spoletta ben reso da Giovanni Iovino (nel cast anche i nomi di Mar Tissons, Sciarrone, Pierre Gathier, il carceriere e Gaby Cocina, il pastorello fatto cantare fuori scena). Bene il coro di voci bianche ottimamente istruito da Marcel Seminara e puntuale la fedele regia di Claire Servais, una regia pulita, senza inutili orpelli ma con alcuni intelligenti guizzi ed efficaci trouvailles: e se mancavano crocifisso sul petto di Scarpia e candelieri ai suoi piedi, il crocifisso campeggiava intenzionalmente nella stanza di palazzo Farnese (attorniata da figure con scene di tortura ai lati), e la stessa Tosca ha provveduto a disegnare un segno di croce sul petto. Molto efficaci le scene di Carlo Centolavigna, inizialmente cupe, per Sant’Andrea della Valle (con cappella degli Attavanti dal rigoroso cancelletto in ferro battuto), ma poi il coup de théâtre di uno sfolgorio di ori e luci per il Te Deum, ed estremamente lineari nell’alludere al patibolo sugli spalti di Castel Sant’Angelo (pur in assenza di massicce architetture ed angeloni di cartapesta, in loro vece una proiezione). Ottime le luci di Olivier Wery, per lo più livide, come nella scena della tortura dove la luce giocava un ruolo davvero di rilievo. Insomma una Tosca della quale serberemo a lungo gradita memoria. Ben nove le recite sino al prossimo 2 gennaio 2015 (con doppio cast) ed una decima il 10 gennaio al Palais des Beaux-Arts di Charleroi.