di Marco Testa
NEL QUADRO DEL SUO PERCORSO DI CONVINTO ANTISEMITA, Richard Wagner sembrò contraddirsi alla luce dell’amicizia che intrattenne con il compositore e direttore d’orchestra ebreo Hermann Levi (1839-1900), figlio del rabbino di Gießen, in Assia. A tal proposito, a quanti hanno letto il saggio di Adorno su Wagner e Mahler sovverrà probabilmente il seguente ammonimento: «L’amicizia con Hermann Levi è esaltata volentieri da entusiasti scrittori liberali, per ridurre al minimo l’antisemitismo wagneriano, come inoffensivo» (Wagner, Mahler, due studi, Einaudi, Torino 1966, pagg. 32-33). Forse Adorno non aveva torto. Ma è un fatto che il rapporto tra Levi e il compositore sassone rimane, anche alla luce di recenti contributi, un affresco non del tutto coerente.
Assai stimato da Cosima Liszt, alla quale si dice dedicasse attenzioni particolari, Levi è principalmente noto per aver diretto la prima assoluta del Parsifal, ultima opera di Wagner, il 26 luglio 1882 al Festival di Bayreuth, rimanendone pressoché l’unico interprete sino al 1894. Si tratta della stessa opera che Nieztsche stigmatizzò aspramente come il trionfo del cristianesimo («È l’asfissia prodotta dall’anfanare di tutte le assurdità religiose», scrisse il pensatore tedesco nel suo libello Contro Wagner, in parte errando, poiché, come già notò Guido Manacorda, nel Parsifal vi è più arianità che cristianesimo). E tutto ciò accadeva mentre Levi era al culmine della propria carriera, che fu quella di un brillante direttore d’orchestra e di un musicista che, contrariamente a Wagner, aveva seguito solidi e regolari studi.
Accortosi ben presto delle attitudini musicali del figlio, il rabbino Benedikt Levi mandò il giovane Hermann a studiare al Mannheim Gymnasium, dove divenne studente di Vinzenz Lachner. In seguito venne ammesso al Conservatorio di Lipsia, dove studiò con Moritz Hauptmann, allievo questi del perugino Morlacchi e maestro a sua volta nientepopodimeno che di Hans von Bülow, e con Julius Reitz, ottimo amico di Felix Mendelssohn. A questo punto, interessato più alla bacchetta che alla matita del compositore (della sua attività in tale veste non ci rimane che un Concerto per pianoforte e qualche Lieder) divenne ben presto direttore musicale presso importanti istituzioni musicali in Europa, ora a Saarbrucken, ora all’Opera di Mannheim, a Rotterdam e in altri centri, tra cui Karlsruhe, dove strinse amicizia con Clara Schumann, di vent’anni più giovane.
Quando Wagner, che ne fece conoscenza per mezzo della sua Cosima, ex moglie di Hans von Bülow, gli propose di condurre la prima del Parsifal, l’opposizione antisemita insorse. Il dramma, come si sa, venne accolto come opera eminentemente «cristiana» (ancorché densa di elementi nordici e paganeggianti), e già si è ricordato cosa ne pensasse, a tal proposito, Friedrich Nietzsche. Per Levi si pose il problema della scelta in tutta la sua urgenza. Dal canto suo Wagner riteneva fosse lui e nient’altri che lui il direttore più adatto a interpretare la sua ultima opera, la cui fama dovrà appunto molto a Levi: di questi, il compositore stimava certamente il talento, ma non mancò di una certa spigolosità nei suoi confronti, lato che d’altra parte somigliava perfettamente al suo personaggio.
Una mattina, invitato per una colazione a villa Wahnfried (la villa di Wagner a Bayreuth), Levi si presentò con dieci minuti di ritardo. Immediatamente il compositore lo apostrofò dicendogli che la mancanza di puntualità segue direttamente l’infedeltà, dopodiché gli mostrò una lettera anonima, giunta da Monaco, che suggeriva di non lasciare che il Parsifal finisse nelle mani di un direttore ebreo, che si vociferava, per giunta, fosse l’amante di Cosima. A Wagner l’idea di fare la parte di Hans von Bülow garbava poco, ma d’altra parte della presunta liaison tra Levi e Cosima Liszt non rimangono che pettegolezzi e teoremi. Comunque, irritato e deluso dalle parole di Wagner, Levi lasciò villa Wahnfred senza nemmeno prendere congedo.
A questo punto tradizione vuole che sia entrato in gioco il re di Baviera Ludovico II, ammiratore tanto di Wagner quanto di Levi, il quale insistette perché il Parsifal venisse affidato a quest’ultimo. Non è facile stimare l’effettivo ruolo che il re di Baviera giocò nel riconciliare i due personaggi, ma conosciamo la corrispondenza tra i due musicisti successiva all’incidente di villa Wahnfried. Ecco cosa scrisse, Wagner, al direttore ebreo:
«Amico, la prego con tutta serietà di ritornare al più presto da noi; la cosa principale dev’essere portata a buon fine […]. Caro ottimo amico! Salva la sua sensibilità, lei così facendo non rende facili le cose né per sé, né per noi! […] Per amor di Dio, torni subito e impari infine a conoscerci bene! Non ceda in nulla sulla sua fede, ma anzi ne attinga un grande coraggio! Forse… vi sarà una gran svolta nella sua vita, ma, in ogni caso, lei è il mio direttore per il Parsifal». […] (cfr. T.W.Adorno, Wagner, Mahler, due studi, cit.)
Nel suo Hermann Levi’s shame and Parsifal’s guilt: a critique of essentialism in biography and criticism (Cambridge University Press, 1994), il musicista e musicologo americano Lawrence Dreyfus si scaglia contro quella lettura, che definisce «revisionista», volta a sostenere che Levi provasse un acceso senso disprezzo nei confronti della popolazione ebraica («Levi’s enthusiasm for Wagner and his music amounts to a shameful form of Jewis ‘selfhatred’»), in quanto dirigendo il Parsifal, Parsifal stesso non faceva che propagandare gli ideali ariani. La storia, sostiene Lawrence, andò diversamente: Wagner non avrebbe affatto desiderato vedere il Parsifal diretto da un musicista ebreo, e avrebbe accettato solo dopo l’intervento di re Ludovico, che avrebbe minacciato il compositore di ritirare l’orchestra («he [Wagner] only accepted him after King Ludwig II threatened to withdraw the entire orchestra»).
È da presumere che la stima di Wagner per le capacità di Levi fosse superiore al sentimento antigiudaico, così come il disprezzo di Levi per l’antisemitismo wagneriano fosse inferiore alla considerazione che aveva per Wagner artista e tutto sommato per l’uomo. Fatto sta che alla fine i due si riappacificarono (anche se nel frattempo Wagner, per non smentirsi, pare avesse cercato di convincerlo a farsi battezzare e ad abbracciare il cristianesimo).
Quale sia la verità di una vicenda tanto intricata potranno dirlo soltanto le fonti. E purtuttavia ci sembra significativo il fatto che Levi continuò a collaborare al Festival di Bayreuth, al fianco di Cosima, anche dopo la morte di Wagner. Ad ogni modo, la prima del Parsifal fu un successo. E nemmeno allora, l’autore della Tetralogia si smentì:
«Ricordano ancora i presenti alla prima rappresentazione del Parsifal nel 1882, come, anziché lusingato, Wagner si sentisse offeso dall’applauso irrompente, e come, con la sua naturale vivacità e indipendenza, chiedesse il silenzio per dire che non una dimostrazione da piazza doveva coronare la sua opera, ma il raccoglimento […]» (O.Calvari Giaccone, Parsifal di R.Wagner. Suo contenuto spirituale e simbolico, Fratelli Bocca Editori, Torino 1921, p.1).