Lettura musicale precisa e puntuale del direttore Yutaka Sado al Teatro Regio, regìa lineare e fedele all’ambientazione settecentesca di Elena Barbalich per un cast vocale che funziona. Giovedì in visione su Rai 5
di Attilio Piovano
NUOVO ALLESTIMENTO PER LE MOZARTIANE Nozze di Figaro, al Regio di Torino, andate in scena giovedì 12 febbraio 2015. Dopo Così fan tutte del 2012 e Don Giovanni del 2013, la trilogìa dapontiana è compiuta. Per l’occasione Elena Barbalich ha firmato una regia ‘pulita’ e oltremodo lineare, ancorché non certo banale, del tutto funzionale allo spettacolo. Una produzione che vede il sold out e ben undici recite complessive (sino al 24 febbraio) con un doppio cast di rilievo internazionale. Sul podio felice ritorno a Torino di Yutaka Sado. A lui si deve una lettura molto precisa e puntuale del capolavoro mozartiano datato 1786: lo si è compreso fin dall’Ouverture, affrontata con tempo giusto, non già nevrotico come taluni direttori.
La regìa – dichiaratamente fedele all’ambientazione settecentesca, partita dall’idea di una ‘casa labirinto’ per il gioco dell’intrigo, che poi diviene sempre più astratta e smaterializzata – ha saputo muovere bene i personaggi, senza inutili smancerie
La sua è una lettura misurata, fatta di attenzione ai minimi dettagli, messa in luce delle mille preziosità di cui è costellata la sublime partitura, scrupolo estremo nel focalizzare i punti chiave e le molte superbe arie, veri best sellers della letteratura operistica di tutti i tempi. E se forse, con certi pur apprezzabili e giustificati indugi, ha finito per penalizzare lievemente quel magnetismo irresistibile che la ‘folle giornata’ delle Nozze richiede, per contro, il capolavoro della premiata ditta Mozart & Da Ponte ha potuto avvalersi di approfondimenti psicologici di tutto rispetto, grazie all’ottima prova fornita dall’orchestra e grazie altresì ad un cast davvero ben affiatato: tutto appariva fluido e improntato a gioviale naturalezza, con un tono di conversazione, come si conviene.
Scene e costumi di Tommaso Lagattolla: scene iper realistiche come ama una certa fascia tradizionalista del pubblico, dai colori ora neutri e delicati (fango e celestino), ora ambrati, ora misteriosi (per la scena notturna) con gradevoli e appropriate sorprese (l’enorme lampadario con i candelieri ‘accesi’ a vista dai servi e via elencando), un bel gioco di piani sovrapposti per la scena notturna ed altro ancora; ottime luci di Giuseppe Ruggiero. La regìa – dichiaratamente fedele all’ambientazione settecentesca, partita dall’idea di una ‘casa labirinto’ per il gioco dell’intrigo, che poi diviene sempre più astratta e smaterializzata – ha saputo muovere bene i personaggi, senza inutili smancerie, ma anche con tocchi di opportuna arguzia dove occorre (per i ruoli ad esempio di don Curzio e del giardiniere), ma anche con qualche giusta sottolineatura e velatura melanconica che Yutaka Sado ha ottimamente raccolto ed esaltato sul versante musicale. Ecco allora, per dire, l’idea di far spegnere i lumi del grande lampadario proprio all’entrata in scena di Barbarina che canta «Perduta, l’ho perduta», alludendo alla famigerata spilla: spesso il personaggio ha toni da ‘povera orfanella’, da buona figliola di picciniana memoria (cui allude il sound da commedia sentimentale del celebre passaggio), ma sappiamo bene che non è interpretazione eccessivamente maliziosa quella di chi vede nelle parole del testo un’allusione esplicita della perdita della… virtù da parte di Barbarina stessa, che verosimilmente si è concessa al Conte. E in questo caso la regìa è riuscita a rendere al meglio quel mix di malizia, eros e mestizia che dalle poche battute del passo si sprigionano. E giacché proprio da Barbarina siamo partiti merita citare la valida interpretazione che del personaggio ha dato Arianna Vendittelli.
Le voci dunque: Vito Priante si è rivelato un Conte a tutto tondo, insinuante e iracondo, ma anche capace di varie sfaccettature psicologiche (bene il suo «Vedrò mentr’io sospiro»), specie laddove la sua parte assume toni e andamenti da opera seria; buona presenza scenica e buona timbratura. Molto bene il soprano Carmela Remigio nel ruolo variegato della Contessa; ha regalato grandi emozioni in «Dove sono i bei momenti» centellinata ad arte da Yutaka Sado con una singolare delicatezza. Poi ancora emozioni nella catarsi finale e nel momento in cui la sua magnanimità giganteggia (ecco allora il Conte che le si rivolge con quel celebre e stupefacente «Perdono Contessa perdono»). Ha saputo peraltro rivelare anche accenti arguti nei momenti più squisitamente da commedia, ad esempio quando con Susanna è intenta a svestire e rivestire di panni muliebri l’imbarazzatissimo Cherubino (soltanto non abbiamo capito perché mai, all’ascolto della canzonetta, le venga messo in mano un violino, anziché la chitarra d’ordinanza come da libretto, e per di più Susanna si tiene l’archetto, violino col quale si era peraltro presentato in scena Basilio, maestro di musica, dunque coi ferri del mestiere). Un Cherubino ottimamente interpretato da Paola Gardina, bella emissione, molta eleganza (applausi convinti per «Non so più cosa son cosa faccio» in cui si ammira la capacità di Mozart di intuire tutti i turbamenti e anche le angosce esistenziali di un adolescente, più ancora nell’altro celeberrimo topos, «Voi che sapete»). Dal basso Mirco Palazzi ci si aspettava forse un po’ più di ‘corposità’ vocale, ma ha saputo peraltro entrare bene nel personaggio di Figaro, applaudito il «Non più andrai farfallone amoroso», registicamente molto composto, idem per l’altro celeberrimo passo con tutta la sua carica anti aristocratica e di dirompente novità ideologica e si tratta ovviamente di «Se vuol ballare signor contino»). È piaciuto il soprano russo Ekaterina Bakanova nel ruolo di Susanna, bella voce, buona presenza scenica, bene le schermaglie con Marcellina, ironia e molto charme (assai accattivante in «Deh vieni non tardar», dove Susanna deve apparire innamoratissima del suo Figaro, e lo ha ben fatto capire con una vocalità calda e suadente).
A completamento del cast l’apprezzata Alexandra Zabala (Marcellina), frizzante e popolaresca comme il faut, Abramo Rosalen (Bartolo), giustamente spiritoso, ma senza risultare eccessivamente caricato. E ancora tutti allineati su un buon standard i restanti comprimari, e allora Bruno Lazzaretti (Basilio), Luca Casalin (Don Curzio), Matteo Peirone (Antonio il giardiniere). Un plauso speciale a Carlo Caputo al fortepiano per aver disimpegnato con sicura valentia e ammirevole scioltezza i molti recitativi. Bene, come sempre, il coro istruito da Claudio Fenoglio. Applausi convinti, pur differenziati per i vari ruoli, e successo pieno.
Nel corso delle recite si alterneranno nei ruoli dei protagonisti Dionisyos Sourbis (Conte d’Almaviva), Erika Grimaldi (Contessa d’Almaviva), Guido Loconsolo (Figaro), Grazia Doronzio (Susanna), Fabrizio Beggi (Bartolo) e Samantha Korbey (Cherubino).
Trasmessa in diretta da Rai-Radio3 la sera della ‘prima’, l’opera viene proposta su Rai 5 giovedì 19 febbraio alle ore 21.
Caro Lettore, se hai apprezzato questa recensione forse potrebbe interessarti entrare a far parte del Club del Corriere Musicale, area premium dedicata ai più appassionati. Vai allo Scaffale | Registrati