In scena al Teatro Massimo l’opera di Gluck nella versione di Berlioz del 1859
di Monika Prusak
UNO SPETTACOLO DI MOVIMENTO, ombre e luci, l’Orphée et Eurydice di Gluck diretto da Frédéric Flamand, è stato proposto dal Teatro Massimo di Palermo nella versione di Berlioz del 1859. Il regista e coreografo belga esplora il mondo interiore dei protagonisti, associando uno o, come nel caso di Orfeo, due ballerini in rappresentazione dei loro sentimenti e angosce. «In quella guerra di affetti», per citare il libretto di Calzabigi (modificato per Berlioz da Pierre-Louis Moline), la danza contemporanea si inserisce bene, anche se il continuo correre e arrotolarsi dei corpi diventa a tratti eccessivo. Orfeo si muove in frac tra due ombre danzanti, una bianca e una nera, e sembra che proprio grazie a questa doppia esistenza interiore il personaggio riesca a passare facilmente dal mondo dei vivi all’aldilà. Euridice, in contrasto, è celeste e pura. La sua ombra appare in scena presto: un ricordo nitido di Orfeo, un’anima errante in cerca di asilo. Flamand le riserva il movimento più raffinato, più etereo e sensuale.
Hans Op de Beeck riempie la scena di schermi mobili che proiettano immagini in bianco e nero statiche e in movimento. Siamo in una «metropoli fittizia in continuo mutamento», spiega Flamand, in cui il mito orfico «ci rimanda alle lotte, ai dolori e alle gioie che fanno parte del quotidiano di ogni uomo». Il paesaggio cupo viene risollevato parzialmente dalle luci di Bertrand Blayo, che nei Campi Elisi propone colorazioni di bianco freddo, celeste e acquamarina, per ricadere successivamente nella notte delle sponde infernali dell’Ade. Il tragitto di Orfeo è accompagnato da cubi luminosi che, trasportati dai protagonisti, animano ulteriormente la coreografia. L’impegno degli artisti del Corpo di Ballo è notevole e il movimento possiede una sua energia valida, ma la macchina teatrale fatica a procedere armoniosamente a causa di una direzione poco marcata. Giuseppe Grazioli lavora sui timbri, ottenendo sonorità interessanti nel coro e nell’orchestra, ma sceglie tempi e dinamiche che non sempre riescono a mantenere l’azione viva e coinvolgente nelle parti soliste.
Marianna Pizzolato, un Orfeo distinto ed elegante, con una voce vellutata e profonda affronta con maestria la “solitudine” in scena del protagonista. Euridice di Mariangela Sicilia rispecchia bene il suo alter ego danzante; pervasa dalla dolcezza, la sua interpretazione culmina nelle scene finali con Orfeo. Non convince, invece, Aurora Faggioli in Amore, la cui voce manca di elasticità se apportata alle altre due soliste. Non passano inosservati i ballerini solisti, che con eccellente grazia incarnano il mondo interiore dei due protagonisti. È proprio nella performance di Andrea Mocciardini (Orphée noir) e Valentina Pace (Euridice) che Flamand trasmette al meglio la «guerra di affetti», quel desiderio che Orfeo non riesce più a trattenere e quella sensualità esuberante di Euridice, che in condizioni esecutive più favorevoli avrebbe potuto donare all’azione un ulteriore livello di tensione. (Rappresentazione del 22 febbraio 2015)