Alcuni musicisti di rilievo nazionale ed internazionale, nuove e vecchie generazioni, hanno espresso su invito del Corriere Musicale un pensiero, un saluto, un ricordo per il pianista scomparso
Interventi raccolti da Simeone Pozzini
EMANUELE ARCIULI
Ciccolini rappresenta, per me, l’etica della musica. Non è possibile dimenticare il suo modo di stare nel mondo dell’arte con umiltà vera e non esibita, in un mondo in cui tutto, persino il ricordo di un musicista scomparso, rischia invece di tramutarsi in mostra di sé, in passerella per ogni vanità. Lo stile, la classe, il talento del Maestro (e poche volte questa parola può essere usata davvero, senza infingimenti e senza esagerazioni, come in questo caso), e la sua verve, la sua intelligenza, la sua curiosità, ci accompagneranno sempre.
MAURIZIO BAGLINI
Aldo Ciccolini ha saputo proporre un repertorio immenso, estremamente vario, in cui hanno avuto un peso specifico fondamentale gli autori del cosiddetto decadentismo: Ciccolini ha dimostrato che la qualità interpretativa è in grado di portare autori minori ad un livello assoluto, rendendo Fauré, Saint-Saëns e molti altri autori importanti quanto Beethoven, Mozart, Bach.
UMBERTO BENEDETTI MICHELANGELI
Ho avuto l’occasione di dirigere Ciccolini con l’Orchestra da Camera di Mantova nel suo l’ultimo concerto con una orchestra. Avremmo dovuto fare l’inaugurazione della stagione con Maria João Pires, la quale si ammalò il giorno stesso dell’inizio delle prove. Panico generale. Invece è successo che il Maestro Ciccolini fosse a Napoli con il K466 e il K488 e si rese disponibile. Sono rimasto stupefatto da un corpo che non c’era più. L’esperienza con Ciccolini è stata una delle più impressionanti della mia carriera. È stato semplicissimo innanzitutto, perché quasi sempre quando ci sono artisti di quella statura è molto facile fare musica insieme. In genere è molto difficile con i somari. E tutto il lessico di Ciccolini è da rapportare ad un tempo in cui si faceva questa musica in un altro modo. L’altra cosa impressionante è che il suo suono mitico era assolutamente intatto, ricco di armonici, eleganza, comunicatività. Il suo suono di sempre. Una dicotomia tra un corpo che non c’era più e questo suono nel momento in cui si metteva al pianoforte, è stata una cosa al di là del commevente, impressionante.
PAOLO BORDONI
Avevo 19 anni quando ho conosciuto Ciccolini a Parigi: abbiamo parlato a lungo e poi non ci siamo mai, dicasi mai, persi di vista. A Parigi sono stato a tutti i suoi concerti. Poi siamo stati in giuria di qualche concorso, lunghe interminabili cene. Era una persona magnifica per tanti aspetti, con una tendenza depressiva molto forte che poi si riscattava sempre immediatamente perché c’era la luce dell’intelligenza che veniva fuori. Poi non ha fatto altro che lamentarsi della professione, diceva «che fatica, ma chi me lo fa fare?». E io gli ho detto: «beh allora smetti!». Quando ho pronunciato queste parole l’occhio è diventato vivace e ironico: «Sì, ma poi cosa faccio?». Per me la sua perdita è una grande malinconia, confesso. Con me ha sempre avuto un atteggiamento carino. Io l’ho amato tantissimo come pianista. E avevo anche la confidenza per digli, una volta, che la sua sonata in si bemolle di Schubert, l’ultima, eseguita trent’anni fa, non mi era piaciuta, e quando invece l’ha fatta l’ultima volta l’ho trovata sublime. Lui mi ha detto: «Da giovane ero molto stupido». Ce ne fossero! Come spesso lui faceva, aveva l’aria affaticata, ma una volta seduto al pianoforte si trasformava. Era l’unico grande vecchio rimasto, ma la cosa straordinaria erano ancora le sue dita, una digitalità che sembrava rimasta a trent’anni fa, con una agilità, un’articolazione, una precisione, uno scatto…
DAVIDE CABASSI
La voce di Ciccolini ha avuto una luce unica, speciale, quella dei grandissimi: un pianismo d’oro, di quella nobiltà straordinaria dei tempi antichi, ma riverberata in una modernità assoluta, reale. Una luce che non smetterà di illuminarci la via.
MASSIMILIANO DAMERINI
La mancanza di Aldo Ciccolini nel panorama musicale di oggi si sente e si sentirà in maniera fortissima. Ebbi il privilegio di conoscerlo e di parlare con lui molte volte: persona adorabile, di una squisitezza unica, umile “servitore” della musica, gran signore come non ne esistono più. Quando di un interprete riesci a ricordare anche solo un’esecuzione in maniera indelebile, quell’interprete è un grande. A parte le innumerevoli esecuzioni straordinarie di cui sono stato testimone, la mia memoria è legata a un bis concesso una ventina d’anni fa: era La plus que lente di Debussy. Non dimenticherò mai la nostalgia e la tenerezza di quelle note commoventi. Abbiamo perso l’ultimo grande poeta del pianoforte.
KATIA LABÈQUE
Aldo è stato il primo grande pianista che ho ascoltato dal vivo nella mia vita. Mia madre, Ada Cecchi, era amica sua, e mi aveva portato da bambina ad ascoltarlo in Saint-Jean-de-Luz sulla costa basca. Non c’erano molti concerti in quella parte della Francia e quel concerto è rimasto per sempre nella mia memoria. Era così bello… sembrava tutto naturale e facile. Aldo era proprio un poeta e sapeva creare un mondo suo anche con poche note. Sembrava sempre inventare la musica nel momento in cui suonava. Una persona dolcissima, veniva spesso a casa quando era sulla costa basca ed é grazie a lui che sono pianista oggi perché mia mamma gli aveva chiesto di ascoltami per dire se valeva la pena o no di darmi lezioni di piano, e lui aveva detto che lo doveva fare « subito » senza dubbi. Mi considero così privilegiata ad averlo conosciuto, ascoltato. Aldo ha veramente portato tanto nel mondo della musica, ha fatto scoprire tanti compositori che nessuno ascoltava all’epoca, e ha sempre rifiutato la « virtuosité gratuite », penso al mio carissimo amico Jean-Yves Thibaudet oggi che considero veramente come il suo figlio spirituale e musicale.
ALEXANDER LONQUICH
Non ho mai avuto l’occasione di sentire Aldo Ciccolini dal vivo. L’ho incontrato una sola volta, in Puglia, dove teneva una masterclass. Ero rimasto sbalordito dalla sua vena ironica e verve narrativa, durante un pranzo con i suoi alunni pendevamo tutti dalle sue labbra. Persona unica che dava l’impressione di aver compreso fin in fondo il compito assegnatosi in questo mondo. Ascoltando le testimonianze sonore da varie fasi della sua vita ho avuto il sentore che quel suo “cartesiano” pianismo di qualità superiore, come naturalmente congiunto a un certo caratteristico aureo distacco, col crescente avanzare dell’età si fosse reso sempre più intenso, personale e sofferto. Così il pioniere dell’opera omnia di Erik Satie, il congeniale interprete di Saint-Saëns man mano si immergeva con una densità prima da lui non contemplata nei mondi per esempio di Beethoven e Brahms. Ora che ci ha lasciato rimane proprio un musicista tutto da scoprire.
ANDREA PADOVA
L’arte pianistica di Aldo Ciccolini è stata straordinaria e il suo magistero didattico indiscutibile. Chi ha avuto la fortuna di studiare con lui e conoscerlo da vicino ha potuto confrontarsi con una personalità complessa, generosa e schiva, caratteri presenti anche nel suo modo di suonare e di insegnare. La sua dedizione alla musica era assoluta, la fedeltà al testo persino maniacale, la passione per il pianoforte divorante, il suo modo di confrontarsi con i limiti imposti dalla malattia straordinario. Devo a lui molto di quel che ho fatto come musicista.
MARIO PANCIROLI
Ho conosciuto Aldo nel ’79. All’epoca, la principale rassegna concertistica milanese in Sala Verdi erano gli Euroconcerti del giovedì sera. Io ero un giovane studente del Conservatorio e non ci perdevamo un concerto: Ciccolini, molto noto a tutti, presentava un programma interamente dedicato a Schubert: 3 Klavierstücke op. posth. e i 4 Improvvisi op. 90 nella prima parte e la D958 in Do minore nella seconda. Rimasi incantato dal suo suono, da quel pianismo netto e preciso e da quella connessione tra i suoni così profonda che realizzava. Durante l’intervallo mi precipitai nel camerino e con grande spontaneità esclamai: «eh…non suoni mica male!»…poi rientrai immediatamente in sala. Circa sei mesi più tardi, ricevetti una lettera scritta col pennino (che conservo tutt’ora), in cui mi scriveva che mai nella sua carriera aveva incontrato un giovane che pronunciava un’esclamazione simile e che lo incuriosiva incontrarmi. Dopo anni mi confessò che si era dato un bel da fare per scovare il mio nome e il mio indirizzo all’interno del Conservatorio di Milano.
Così nell’autunno 1979 lo incontrai ancora a Milano e per me iniziò il “Tutto”. Aldo non considerava il rapporto didattico come Maestro e Allievo, ma da subito instaurò un dialogo paritetico basato sulla psicologia e sulla libertà della mente in primis e poi conseguentemente sulla musica. Aldo è stato capace di far cadere in un baleno quei tabù che tanto assillano i giovani pianisti: le frustrazioni per i passaggi che non vengono, la tecnica e via dicendo. Con lui tutto confluiva nella ricerca della creazioni di immagini che guidassero il pensiero musicale e mi aprì un mondo nuovo. «La musica è colore» mi diceva sempre, «ogni nota deve avere una sua intensità». Cosicché negli anni, innumerevoli sono stati i momenti passati insieme, nella sua casa di Asnieres o in giro per le sale da concerto di mezzo mondo, dove lo raggiungevo e tra una pausa e una prova, trovava sempre il tempo per ascoltarmi e per condividere con lui i suoi momenti concertistici per me fondamentali per apprendere tanto. La generosità d’animo di questo Grand’uomo è sconfinata. Sono più di 30 anni che Aldo è una presenza costante nella mia vita; l’ho visto e sono stato alcuni giorni con lui l’autunno scorso a Bruxelles ascoltandolo in un Recital memorabile per la Radio Belga. Adesso Aldo, dopo aver donato a noi qui in terra la tua Arte è arrivato il momento di continuare a far musica lassù dove ritrovi i tuoi amati affetti musicali come Elisabeth Schwarzkopf o Jorge Bolet.
ROBERTO PROSSEDA
Aldo Ciccolini è stato certamente uno dei più importanti pianisti del Secondo Novecento. Mi ha sempre colpito la sua sincerità nell’espressione musicale e la rara eleganza del fraseggio, sempre sobrio e senza mai nulla di superfluo. Ho ascoltato Ciccolini dal vivo varie volte, e ricordo un suono sempre luminoso e trasparente, mai aggressivo. Il suo forte era rotondo e vivo, anche nei passaggi più impervi delle parafrasi lisztiane, che egli rendeva con una notevole nobiltà di espressione, riflettendo la sua vissuta conoscenza del repertorio belcantistico. Negli ultimi anni Ciccolini ha raggiunto una ancor più intensa immedesimazione emotiva con la musica, confermando una statura di artista e di poeta che per fortuna è testimonata dalla sua ampia discografia.
In ricordo di Ciccolini
La notizia è una di quelle che non avresti voluto leggere mai, anche se ti aspettavi che prima o poi sarebbe giunta. Grande tristezza, personalmente, ha suscitato in me (come in tutti coloro che amano la grande musica e il repertorio pianistico in particolare) la notizia della scomparsa del raffinato Aldo Ciccolini, pur consci che tra pochi mesi avrebbe compiuto novant’anni.
A Torino avrebbe dovuto suonare per MiTo nel settembre del 2013, con l’Orchestra da Camera di Mantova, in programma di Mozart il luminoso Concerto K 488 e il sublime K 467 dall’esordio sornione come i passi di Leporello e dal mirifico Adagio centrale. Ebbi l’onore di essere incaricato di scrivere le note di sala: già pregustavo quel concerto (intimamente ripromettendomi altresì di andare a salutare il Maestro in camerino chiedendogli il suo autografo che mi avrebbe di certo elargito come in altre occasioni con un sorriso benevolo e affabile). All’ultimo aveva dato forfait e fu sostituito dalla deliziosa e minuta Maria João Pires. Poi lo scorso novembre 2014 a sua volta Maria João era annunciata a Torino (questa volta per l’Unione Musicale) con la medesima orchestra, diretta da Umberto Benedetti Michelangeli, ma dovette rinunciare e fu rimpiazzata nientemeno che da Ciccolini stesso. E in tal modo il Maestro le restituì la cortesia della precedente sostituzione. Un contrattempo dell’ultima ora mi impedì di essere presente, e dunque anche di ammirare in chiusura quei due bis che volle regalare con la sua consueta nonchalance, uno Scarlatti (Sonata K 380) e lo schubertiano Kupelwieser Walzer armonizzato da Richard Strauss e forse altro ancora. Come immaginare che sarebbe stato l’ultimo suo concerto torinese?
Mi permettano i lettori un breve flash personale: era il 1980, per l’esattezza il 26 ottobre, giovane di belle speranze mi sarei diplomato in pianoforte nel settembre successivo, in programma ‘portavo’ anche alcuni Préludes dell’adorato Debussy e Ciccolini venne a Torino per l’UM e suonò l’integrale dei Préludes. Fu una folgorazione. Ne conservo tuttora (e sono trascorsi quasi 35 anni) un ricordo vivissimo, tocco sopraffino, eleganza assoluta, misura, sobrietà. Quella stessa che ritrovai nell’incisione dell’integrale delle opere di Debussy per la EMI, un cofanetto di ben 5 compact che ha sempre avuto una collocazione privilegiata nella mia libreria. Ora, mentre scrivo, le mani magiche di Ciccolini mi stanno riproponendo Jardins sous la pluie che ho scelto ad arte come colonna sonora specialissima per questo ‘pezzo giornalistico’. Appena terminato lo invierò al corriere, ma poi penso che proseguirò con le Images, e gli stessi Préludes (quanta grazie in quell’apertura con Danseuse de Delphes, e le raffiche furiose del Vent dans la plaine e la solare mediterranea clarità di Anacapri, giù giù sino alla poeticissima evocazione della Marseillaise a fine Feux d’artifice). Poi mi regalerò l’ascolto degli Études che Ciccolini distillava con tocco adamantino e molta, molta cultura, dissimulata dietro alla leggerezza ed alla grazia che solo i grandi sanno conseguire. Perfino nei pezzi ‘minori’ per dire, quella bonaria e graziosa Tarantelle stirienne che non è certo tra le pagine più geniali e blasonate del sommo Achille Claude e che pure, sotto le dita rabdomantiche di Ciccolini, pareva un capolavoro (e nemmeno formato mignon).
Grazie, per averci regalato anni di emozioni, per averci educato, per averci fatto crescere nel segno della cultura, del garbo e della civiltà musicale.
Ho avuto modo di conoscere Aldo Ciccolini nel 1996 in occasione della registrazione del quintetto di Guido Alberto Fano con il mio quartetto (Quartetto d’archi di Torino). In quest’occasione abbiamo condiviso giornate intere con lui. Avrei dovuto scrivere …conoscere Aldo perchè lui dal primo momento si faceva dare del tu. In quei giorni di frequentazione assidua la sua figura di grande artista si accompagnava ad una persona umile e empatica; un grande saggio. Lui ci diceva che non aveva esperienza di musica da camera ma la spontaneità e la chiarezza musicale che comunicava facevano si che era impossibile non capire che cosa lui pensasse in quel momento e il linguaggio universale della musica creava tra di noi un intesa perfetta.
La sua vita era fatta di concerti viaggi amici albergi; ci raccontava che la sua valigia doveva essere svuotata ogni volta che arrivava in albergo ; le sue camicie nei cassetti le scarpe allineate e in questo modo si sentiva a casa nel suo perenne esilio concertistico.
Aldo faceva tenerezza a tutti e quando suonava si rigenerava e diventava il gigante che tutti noi conosciamo nelle sale da concerto.