Il pianista e compositore in concerto a Milano, un percorso tra Liszt-Wagner e Skrjabin all’ombra di versi dannunziani
di Luca Chierici
DEL TRENTUNENNE PIANISTA E COMPOSITORE siracusano Orazio Sciortino è facile tessere le lodi: si poteva già iniziare a farlo nel momento in cui uscì lo spartito delle sue cadenze ai Concerti per pianoforte e orchestra di Mozart, scritte quando non aveva che diciassette anni. Talento multiforme, come pianista sembra centrare il segno ad ogni sua apparizione anche perché si presenta in disco e in pubblico quasi non appartenesse che per caso a quella categoria di strani animali che popolano più o meno felicemente le nostre sale da concerto. Per Sciortino il pianoforte è un mezzo di comunicazione come ce ne potrebbero essere tanti altri, ma è l’unico che gli permette ad esempio di tracciare inediti percorsi come quello che ha illustrato nel suo recital breve allo Spazio89 di Milano, impaginato attraverso un tutto Skrjabin incorniciato tra il Preludio e poi la Morte di Isotta nelle trascrizioni proprie e di Liszt. Un viaggio affascinante che ci ha condotti a ritroso nel tempo partendo dalle pagine estreme del compositore russo, i 5 Preludi dell’op.74 del 1914, fino ad arrivare ai molto più mansueti – ma non meno suadenti – Preludi dell’opera 11.
Sciortino non vede nell’ultimo Skrjabin un satanico ammaliatore che prolunga le atmosfere estenuate del Tristano sino ad arrivare ai limiti della tonalità e talvolta a sorpassarla o per lo meno a congelarla in una sorta di standby della coscienza, così come faceva l’ultimo Liszt di Nuages gris, né ama indugiare sull’estremo fascino timbrico che sembra fatto apposta per solleticare gli appetiti più inconfessabili di un virtuoso à la Horowitz. Più semplicemente per lui l’ultimo Skrjabin è la naturale conseguenza di un linguaggio musicale che trova nel Wagner più avanzato una logica premessa, pur senza sminuire quelli che possono essere dei riferimenti a contenuti extra-musicali come quelli presenti nei versi dannunziani (più decadenti non si può) da lui scelti per illustrare il proprio recital («…la melodia duplice del desiderio e del dolore»). Un pianista-poeta, dunque che sembra essere attratto dall’insolito più che collezionare nuove proposte attinte dal repertorio classico. Come ha anche dimostrato nel bis, una bella trascrizione a due mani del Morgen di Richard Strauss. (Milano, Spazio89, 22 Marzo 2015)