L’arma della sbalorditiva perfezione tecnica e il poco appeal oratorio del pianista russo riscuotono un ben meritato consenso a Milano
di Luca Chierici
ACCOLTO DA VERE E PROPRIE OVAZIONI, Grigory Sokolov ha tenuto il suo attesissimo concerto milanese presentando un programma che nel corso di quest’anno ha già affrontato più volte in varie sedi e che includeva come novità la prima Partita di Bach, la Sonata op.10 n.3 di Beethoven e quella in la minore (D 784) di Schubert. Sokolov, oggetto di culto per molti motivi incontestabili, ha confermato in maniera splendida quelli che sono i suoi punti di forza: una tecnica digitale di livello stratosferico che gli permette tra le altre cose di ottenere infinite gradazioni di intensità di suono, il rispetto fin troppo maniacale del contesto stilistico entro il quale le sue scelte di repertorio sono collocate, una tenuta concertistica invidiabile per sicurezza e capacità di memorizzazione. Abbiamo parlato di intensità di suono e non di qualità timbrica: la varietà di colori, nel suo caso, non è ricca al pari di quella che fu prerogativa di altri artisti (e non a caso utilizziamo il passato remoto) come Horowitz o Cortot e non sempre nel fortissimo il suono risulta essere pieno e corposo, come poteva esserlo quello di un Arrau, di un Rubinstein, di un Michelangeli o del Pollini all’apice della carriera. Ma tutto ciò è compensato ampiamente dalla capacità di variare, appunto, l’intensità a piacere, pemettendo di dominare come oggi nessun altro la trama polifonica di una pagina pianistica, sia che si tratti di Bach sia dello Chopin di alcune mazurke o in genere delle opere della maturità.
Come di consueto il grande pianista ha offerto al pubblico una lunga serie di bis tra i quali svettavano ben quattro mazurke di Chopin
Si ha però spesso l’impressione, da noi segnalata da lungo tempo, che in Sokolov l’attenzione verso la componente digitale vada fin troppo a influire sul fraseggio e sia maggiore rispetto a quella relativa ai contenuti espressivi, narrativi delle opere che vanno a comporre il suo vasto repertorio. Ad esempio, molto spesso un trillo o in genere qualsiasi altro abbellimento sembrano essere eseguiti come elementi fine a se stessi, non in base al contesto nel quale sono calati.
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Sokolov in altri termini cade spesso in un manierismo che invece di ricordarci quante affinità espressive ci possano essere tra una Sarabanda di Bach e una Mazurka di Chopin rischia di sottolineare siffatte affinità in termini esclusivamente tecnici, accademici. Mancando in Sokolov la capacità di esibire qualità oratorie tali da condurre l’ascoltatore per mano attraverso un percorso ricco di emozioni, rimane a lui solamente l’arma della sbalorditiva perfezione tecnica, quasi sempre più che sufficiente, comunque, per ottenere consensi meritatissimi. In tal senso ci appare anche molto discutibile l’appartenenza di Sokolov alla grande tradizione della scuola russa, che è da sempre stata orientata verso una molto maggiore libertà espressiva.
L’attenzione massima verso certi aspetti formali ha come conseguenza un altro rischio, quello di ancorare strettamente al contesto storico i lavori da lui scelti. Il centrare perfettamente la datazione di un’opera per quel che riguarda la sua componente stilistica è esercizio di controllo sommo ma ci priva di quella capacità da parte dell’artista di guardare avanti, di sottolineare anche gli aspetti profetici – e quindi universali e atemporali – di un’opera d’arte. A questo proposito praticamente perfetta risulta in Sokolov – nonostante l’uso del moderno pianoforte! – la collocazione di tutto il repertorio barocco da lui affrontato. Ma a volte anche l’esecuzione strepitosa della prima Partita di Bach, a causa di una scelta di tempi molto dilatati e al rispetto di una metrica fin troppo inflessibile, non ci faceva dimenticare il fraseggio più “umano” che si ascolta in una celebre interpretazione di Lipatti.
La presentazione dell’op.10 n.3 di Beethoven ha, come ci attendevamo, rischiato di puntare il dito sulla esatta datazione di questo capolavoro, le cui preveggenze romantiche, evidenti soprattutto nel celebre Largo, sono state inesorabilmente ricondotte nel recinto di un 1798 che, lo ricordiamo, è l’anno della cacciata del “Re Nasone” da Napoli ma anche quello dell’occupazione austriaca di Venezia. Anche in questo caso, la realizzazione puramente strumentale dell’ultimo rigo del Rondò valeva un intero concerto di qualche collega, così come è accaduto per quella degli arpeggi per moto opposto nel finale della sonata in la minore di Schubert. È questa una sonata tra le più belle e drammatiche del musicista viennese, e anche tra le meno eseguite a causa di alcune micidiali difficoltà risolte da Sokolov, manco a dirlo, con facilità estrema. Il recital “ufficiale” dell’altra sera si concludeva ancora nel nome di Schubert con gli intimissimi Momenti Musicali. E qui ci è sembrato che Sokolov si sia finalmente lasciato andare nell’espressione di una cantabilità spontanea e felice, probabilmente derivata da una già lunga frequentazione con tale capolavoro.
Come di consueto il grande pianista ha offerto al pubblico una lunga serie di bis tra i quali svettavano ben quattro mazurke di Chopin, tre addirittura scelte tra quelle che si svolgono nel contesto della tonalità di do diesis minore. Non era possibile chiedere di più dopo una serata di livello sicuramente eccezionale. (6 maggio 2015, Società dei Concerti)
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Condivido l’ entusiasmo e l’emozione viscerale che suscita l’ascolto di un concerto di Sokolov
La musica che scaturisce dalle sue abilissime mani sembra avvolgerti e trascinarti verso l’alto
verso il sublime
è magnetico
Non posso che anch’io unirmi alle lodi di questo straordinario pianista e chiedermi il perchè di tali appunti a margine in un concerto che ha dimostrato ancora una volta pochi rivali al mondo, oggigiorno, nel vasto campo dell’universo pianistico. Elogiare senza riserve il volgarissimo recital che Ingolf Wunder ha presentato qualche mese fa nella stessa stagione e fare le pulci ad un artista del calibro Sokolov è perlomeno sospetto. Io parlo da musicista e da docente di conservatorio e mi chiedo se ci rende conto dell’unicità di questo artista che non può essere paragonato a Horowitz o ad Arrau, Benedetti Michelangeli, Rubinstein o Pollini, etc. semplicemente perchè è diverso da loro…….ma della stessa statura, fortunatamente ! Del resto anche i nomi citati sopra, presi peraltro tutti dalla recensione, sono fra loro non confrontabili….. Non scendo nei dettagli per dimostrare che tali grandi nomi sono tutti criticabili volendo ma a che scopo se interpreti di evidente inferiore caratura vengono ampiamente promossi ? Avendo ascoltato Sokolov più che un quindicina di volte in recital ribadisco che anche la sua serata più infelice ( si fa per dire ) è stata comunque di una tale levatura artistica da rimanere solo pieni d’ammirazione e di incanto. Eppure i numerosi detrattori che Sokolov annovera ancora fra gli addetti ai lavori ( e non nel pubblico ) dimostra quanto sia conservatore oggiogiorno il mondo della musica colta rigurado l’interpretazione di un nuovo vero grande artista.
Altro che fenomeni da baraccome come Lang Lang o Katia Buniatisvhvili. Qui siamo nel regno del grande concertismo con un esecutore che al rigore stilistico accoppia una sensibilità musicale quasi unica nel panorama internazionale. Un maestro assoluto cui certi esecutori giovani “muscolari” (che purtroppo a pubblici poco avvertiti e che nella stragrande maggioranza dei casi applaudono la musica e non l’esecutore piacciono assai…) dovrebbero guardare come esempio di cosa voglia dire suonare “bene”,
Non ho neanche lontanamente la competenza tecnica per discutere quanto scritto, ma dalla lettura di questo articolo – mi pare – si potrebbe pensare ad un’esecuzione “fredda”, la cui unica meraviglia sarebbe delegata alla maestria tecnica dell’esecutore. Da semplice ascoltatore, devo invece dire di non essermi mai emozionato tanto e di non essermi mai sentito tanto coinvolto dalla musica come a questo concerto. L’atmosfera creata da Sokolov è stata magica dall’inizio alla fine, e la bellezza di certi passaggi sono arrivati a strapparmi sorrisi di autentico piacere fisico. Nonostante la durata complessiva dell’evento abbia sfiorato le 3 ore, avrei potuto continuare ad ascoltarlo per altrettante.