Un’accurata esecuzione musicale e un allestimento originale e colorato accompagnano la riflessione di Rolando Villazón impegnato nella regìa dello spettacolo
di Riccardo Rocca foto © Andrea Kremper
PROPORRE OGGI UN TITOLO CELEBRE ed universalmente eseguito come La traviata impone a chiunque vi si cimenti una scelta di campo iniziale tra tradizionale celebrazione museale o rilettura ragionata. Se i teatri di repertorio propendono normalmente per la prima strada, il Festspielhaus di Baden-Baden si è potuto permettere di seguire fino in fondo la seconda. La realizzazione scenica è stata affidata ad un artista poliedrico come Rolando Villazón, pochi anni fa già ideatore per il medesimo teatro di un applaudito Elisir d’amore. L’esito è stato originale: scenografie colorate, feste con acrobati e personaggi in maschera, regìa dei personaggi sobria ma non abbandonata al caso; si è apprezzato il lavoro svolto sul personaggio di Giorgio Germont, depurato da quell’ombra di perfidia e volgarità che troppo spesso ne banalizza il ruolo; molto efficace è stata poi l’idea di raccontare l’intera vicenda come vissuto interiore di Violetta, a particolare vantaggio di quegli squarci lirici che Verdi di tanto in tanto le affida.
[restrict]
Villazón sembra aver sfruttato quest’opera per proporre una (auto?) riflessione sulla dimensione della festa, i cui eccessi fanno il paio con i rischi che anche una vita da artista comporta: teschi e saltimbanchi sono la cifra di questo spettacolo, secondo una più moderna lettura di quel dualismo tra amore e morte che, secondo una prima ipotesi, avrebbe addirittura dovuto titolare l’opera. La regia del tenore messicano si è dunque sviluppata secondo un’ottica di sottrazione e ripristino piuttosto che di sviluppo ed approfondimento, del tutto encomiabile nell’aver liberato l’opera di Verdi da una retorica sentimentale che non le appartiene.
La parte musicale ha assecondato e sviluppato i presupposti della realizzazione scenica. Autentica musica per le orecchie è infatti l’ascolto in veste restaurata di una partitura, come quella de La traviata, sgualcita dalla tradizione: non solo infatti a Baden-Baden è stata adottata l’edizione critica dell’opera curata per Ricordi da Fabrizio Della Seta, ma pure è stata scritturata un’orchestra attinente alla cosiddetta area della prassi esecutiva storicamente informata, ossia il Balthasar-Neumann-Ensemble. Nonostante vada preventivamente detto che di per sé né l’utilizzo dell’edizione critica (l’ultima Traviata scaligera ne è stata la dimostrazione), né tantomeno l’adozione degli strumenti “originali” sono a priori garanzie di una felice esecuzione, è tuttavia inevitabile che un’operazione di questo tipo si distingua per una cura del dettaglio tale da rendere ingeneroso ogni confronto con la maggior parte delle esecuzioni tradizionali. Non solo si sono dunque potuti ascoltare preziosismi come nell’«Addio del passato» il pizzicato dei violoncelli, nell’«Amami Alfredo» le forcelle eseguite così come previste da Verdi oltreché nel Brindisi l’anticipazione di «La vita è nel tripudio», ma tali dettagli hanno anche assunto, insieme ad altre originali intuizioni del direttore Pablo Heras-Casado, un valore di integrità ed accuratezza quanto mai apprezzabili anche in questo repertorio; la passione e varietà di affetti con cui i contrabbassisti hanno animato il semplice avvicendarsi di tonica e dominante – fonte di noia e frustrazione per la maggior parte delle orchestre tradizionali – ha poi lasciato dimenticare ogni possibile perplessità sull’uso ideologico degli strumenti antichi. Una menzione particolare merita il clarinetto di Florian Schüle per la levigatezza e l’intensità degli interventi nella scena della lettera.
Discorso analogo vale per gli interventi corali: del Balthasar-Neumann-Chor non saranno mai abbastanza elogiate la precisione, la compattezza, la cura della paletta dinamica nonché la chiarezza della dizione. Le scene di festa, che di quest’opera rappresentano una tinta importante, hanno goduto, anche per merito della brillante concertazione di Heras-Casado, di un’eccellente realizzazione. Di un attento approfondimento testuale hanno beneficiato anche i due Germont, ai quali è stata concessa l’esecuzione delle rispettive cabalette. Nel caso di Giorgio, poi, lo spettacolo di Villazón ha saputo valorizzare molto bene quella ridondanza poetica che è causa fondamentale del tradizionale taglio di «No, non udrai rimproveri»; Simone Piazzola, inoltre, ha eccezionalmente saputo far riemergere quelle componenti affettive e rassicuranti che sono indispensabili in virtù dell’influenza che esse esercitano sulla coppia protagonista; e non sarà un caso che pochi altri cantanti possono vantare nella propria carriera il successo da lui riscosso in questa parte a Baden-Baden. La generosa vocalità di Atalla Ayan, munita di lungo do sovracuto alla fine di «Oh mio rimorso», ha naturalmente centrato le caratteristiche del personaggio ed è stato partner ideale di Olga Peretyatko. Alla propria seconda Violetta dopo il debutto a Losanna, la cantante russa di “scuola rossiniana” ha dimostrato di possedere risorse idonee ad una parte complessa e rischiosa per i confronti storici che inevitabilmente suggerisce; non solo dunque alla Peretyatko ha giovato quella limpidezza di emissione che della sua vocalità rappresenta la cifra più identificativa, ma anche quella vena di fragilità che ogni sua interpretazione sembra suggerire. Ottimi tutti i comprimari, tra i quali si segnalano, nella parte del medico, il veterano Walter Fink e, tra le giovani promesse, Deniz Uzun come Annina.
[/restrict]