A Berlino un’opera del collettivo Gob Square: tra scienza e musica, tra interrogativi e conferme, un robot è protagonista autonomo a tutti gli effetti. Ottime le premesse, drammaturgia fragile
di Simeone Pozzini foto © Komische Oper
TRA SCIENZA E MUSICA. Salutato come un prodigio della tecnologia, Myon – questo il suo nome in scena – non è un semplice robot. È un neuroandroide autonomo (e quindi non telecomandato) capace di azioni, frasi e “pensieri ed emozioni” proprie. Può cantare e rivolgere lo sguardo a persone o cose sulla base dei propri interessi. È insomma in grado di scegliere. Sembra davvero incredibile quanto è stato realizzato dal Laboratorio di ricerca neurorobotica dell’Università della scienze applicate di Berlino. Ancor più sorprendente l’apparizione in teatro di un simile robot all’interno di una performance artistica con orchestra, solisti, coro e coro di voci bianche, video: si tratta dell’opera multiforme My Square Lady, andata in scena alla Komische Oper della capitale tedesca. Gli stessi organizzatori, a conferma di una sorta di autonomia di Myon, non garantiscono che egli decida di impersonare esattamente il suo ruolo. Ma di che si tratta quindi?
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Lo spettacolo non è, come potrebbe suggerire il titolo, una parafrasi del noto music-hall My Fair Lady: viene però ripresa l’idea di fondo, a sua volta un adattatamento del Pigmalione di Georg Bernard Shaw, nella quale il robot (là era una fioraia) deve essere educato ed introdotto nella società, ancor più nelle emozioni umane attraverso alcune domande quali perché il dolore? Cos’è l’amicizia? Percorso arduo, realizzato dalla compagnia Gob Square accostando a quelle domande dei frammenti musicali tratti dall’Orfeo ed Euridice di Gluck e dal Flauto magico di Mozart.
Il tema di fondo trattato in questo spettacolo di difficile definizione è sicuramente interessante, anche se agli appassionati di Arthur Clark potrà apparire d’antan. Ovvero, quale ruolo potrebbero avere i neurorobot, oggi che la loro costruzione è attuata almeno in laboratorio, nella vita di tutti i giorni? Si sostituiranno all’uomo? I protagonisti si chiedono in scena, con una certa dose che vorremmo non definire razzista, «preferiresti fa curare tua madre da un robot o da una rumena?». È vero, siamo alla Komische Oper, uno dei teatri più belli d’Europa, in cui il grottesto, il gusto del di più prende forma, in cui emerge – giusta o sbagliata – anche voce del popolo, tutto è a misura di popolo e tutti i testi come di consueto sono tradotti in tedesco, compreso il brindisi della Traviata.
Tuttavia, pur con le eccellenti premesse tecnologiche e le interessanti speculazioni filosofiche rimane più di qualche dubbio su una drammaturgia fragile, senza una trama precisa, che procede in un gramlot a pannelli di forme e generi confusi, diviso tra una sorta di Singspiel moderno e una carrellata di brani strumentali oppure arie che vanno dal «Lied an den Mond» della Rusalka di Dvořák a «I Sing the Body Electric» del music-hall Fame. Myon sarà inoltre un prodigio della tecnologia, in grado di elaborare migliaia di dati, ma in scena tutto questo rimane davvero un po’ (troppo) ai margini. Ottima la realizzazione musicale di Arno Warsh e il cast vocale (Katarina Morfa, Christiane Oertel, Caren van Ojien, Mirka Wagner, Bernhard Hansky, Carsten Sabrowski, Christoph Spät).
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