Fabio Luisi ha diretto il titolo di Donizetti. L’allestimento convince ancora una volta per la raffinatezza del messaggio scenico
di Luca Chierici foto © Brescia&Amisano
L’ELISIR D’AMORE DI DONIZETTI ILLUSTRATO dalle graziose scene e i coloratissimi costumi di Tullio Pericoli, che era stato ammirato per la prima volta alla Scala nel 1998 e poi ripreso nel 2001, approda nuovamente in teatro pur con un cambiamento di regìa (Grischa Asagaroff al posto di Ugo Chiti) e in concomitanza con un allestimento “ridotto” trasportato nientemeno che all’aeroporto di Malpensa il 17 settembre scorso. Dal 1998 si sono inoltre succedute tre bacchette (Massimo Zanetti, Roberto Rizzi Brignoli e oggi Fabio Luisi) ed è cambiata tutta la compagnia di canto. A complicare la situazione, nel 2010 è stata anche presentata una ulteriore produzione dell’opera – con la regìa e i costumi di Laurent Pelly – coprodotta con l’Opéra di Parigi e il Covent Garden.
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Una concentrazione simile di serate dedicate al melodramma giocoso di Donizetti riflette solo in parte la storia della fortuna di quest’opera nel teatro milanese, giacché tra il 1857 e il 1901 l’Elisir non aveva conosciuto rappresentazione alcuna alla Scala, così come più o meno nello stesso periodo era capitato per l’altro capolavoro del ‘Donizetti buffo’, il Don Pasquale. Titoli che nel bilancio globale delle stagioni scaligere hanno tuttavia riscosso un’accoglienza indiscutibile sia nel momento della loro creazione che per tutto il secolo scorso, accoglienza testimoniata da un numero di recite totale che, nel caso dell’Elisir d’amore supera le duecento.
L’allestimento presentato nuovamente l’altra sera convince ancora una volta per la raffinatezza del messaggio scenico, che illustra il paesaggio marchigiano così caro a Pericoli e che ricorda al pubblico la soavità di luoghi tra i più belli del nostro paese. E i costumi dello stesso Pericoli contribuiscono a stemperare il peso di quella comicità piuttosto greve che era da sempre associata all’opera, soprattutto nell’accento posto sulla figura dell’imbonitore Dulcamara e della sua produzione di filtri miracolosi.
Fabio Luisi è direttore competente e versatile, capace di affrontare un repertorio molto vasto e differenziato. Gli manca forse la capacità di brillare là dove il solo rispetto del testo non è sufficiente a sostenere un adeguato salto di qualità. L’introduzione dell’Elisir non è certo il Preludio del Tristano, ma è pur sempre un luogo che da Luisi non è stato illustrato a dovere, essendo mancata in questo caso quell’urgenza ritmica che fa di questo momento, assieme al più celebre incipit del Don Pasquale, un topos così peculiare della poetica donizettiana. Le cose sono andate però molto meglio nel seguito e la serata ha registrato notevoli consensi di pubblico.
Vittorio Grigolo, che è qui al suo terzo ruolo scaligero dopo Bohème e Lucia, ha affrontato il difficile esordio di «Quanto è bella» senza tradire la minima difficoltà e si è confermato artista dalle doti certamente eccezionali. La sua interpretazione di «Una furtiva lagrima» è risultata convincente per intensità di accenti e fascinosa linea di canto . La sua presenza sul palcoscenico, che a volte sconfina in atteggiamenti eccessivamente plateali, è apparsa questa volta del tutto adatta alla definizione del personaggio di Nemorino, spogliato di bamboleggiamenti e ingenuità da contadinotto per far posto al ritratto di un giovane ragazzo onestamente innamorato e pronto a tutto per portare a termine il proprio progetto sentimentale. La naturale esuberanza di Grigolo – che questa volta è stata fortunatamente esibita solo al momento degli applausi, con inchini da ètoile – premia una performance di successo che è risultata ancora più accattivante se paragonata alle pur pregevoli prestazioni della Buratto e di Mattia Olivieri.
La prima, che debutterà prossimamente al Met come Norina, ha qualità vocali da vendere, che però sembrano più derivare dall’impostazione e dallo studio che da una naturale comunicatività (al contrario di quelle di Grigolo). Il secondo si mantiene su un ottimo livello di professionalità, coadiuvato da un’ottima presenza scenica. Risulta in questo caso difficile poter prevedere quale potrà essere per Olivieri un prossimo sviluppo di carriera e quale tipo di repertorio possa risultare a lui più adatto. Pertusi, come tutti i senior, è un outsider capace di plasmare la propria musicalità in contesti molto differenti tra loro. In questo caso egli ha saputo delineare un Dulcamara spogliato di tutti gli orpelli macchiettistici, ciarlatano sì ma anche geniale deus-ex-machina che alla fine è capace di svolgere al meglio i nodi della vicenda. Fondamentale nell’Elisir è l’apporto del coro, come al solito sapientemente istruito da Bruno Casoni.
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