«Io stesso divento suono», scriveva l’artista. Una grande mostra celebra il pittore ed i suoi rapporti con la musica: creazione di scenografie, costumi, plafond, murales, dal Metropolitan all’Opéra national. Concerti con Mikhail Rudy, London Symphony Orchestra, Valery Gergiev. Fino al 31 gennaio
di Barbara Babic
«BISOGNA FAR CANTARE IL DISEGNO CON I COLORI […] sento risuonare il respiro di Bach e Mozart, e io stesso divento suono, mondo sonoro di tutta l’eternità» scriveva Chagall in una sua poesia del 1975, a fissare questa volta con le parole quello specialissimo incontro tra arte visiva e musica che è stato motivo ricorrente della sua poetica. La musica è un tema declinato su diversi piani nel corso di tutta la sua carriera, una fonte d’ispirazione sia per il lavoro sul ritmo e sull’equilibrio nella composizione pittorica sia come vero e proprio universo da cui prendono vita i soggetti delle sue opere. Una continua ricerca sulla materia che non si limita alla pura rappresentazione – musicisti, ballerini, saltimbanco, attori sono come noto immancabili personaggi dei suoi quadri – ma che vede Chagall impegnato da vicino in numerosissimi progetti per il teatro.
La creazione delle scenografie e dei costumi per il balletto Aleko di Massine su una versione orchestrale del Trio op. 50 di Čajkovskij (1942), per l’Uccello di fuoco (New York, 1945), Daphnis et Chloé (1958) e il Flauto Magico (New York, 1967) sono alcune delle tappe fondamentali di questo percorso riassunto nella bella mostra curata da Ambre Gauthier con la direzione musicale di Mikhail Rudy, Marc Chagall: Le triomphe de la musique, dal 13 ottobre al 31 gennaio alla Philharmonie di Parigi. Procedendo a ritroso (dagli anni Sessanta a Parigi agli anni Venti in Russia) si ripercorre così la storia di questa personalissima eplorazione nel mondo del teatro musicale attraverso più di duecentocinquanta schizzi, bozze, quadri, costumi e documenti audiovisivi.
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Nonostante gli spazi espositivi siano un po’ stretti (aggravati dalla notevole affluenza di visitatori) e alcune opere richiederebbero forse più posto per un’osservazione più attenta, si ha l’impressione di fare un viaggio completo nell’opera dell’artista, amplificato dalla musica in sottofondo che arricchisce e non disturba la contemplazione delle opere presentate. Non mancano i focus sui noti progetti per diverse istituzioni teatrali, come i murales per la hall del Lincoln Center di New York (1966) e ovviamente per lo splendido soffitto dell’Opéra Garnier (1964), che grazie ad un filmato ad altissima risoluzione rende godibile l’osservazione di questo affresco di 200 mq in ogni suo dettaglio. Degna di nota è anche l’ultima sala, dedicata al progetto per Teatro statale ebraico di Mosca (1919-20) con i sette grandi pannelli in cui gli elementi di natura cubista e costruttivista si mescolano ai temi della cultura yiddish, cantati dall’artista fin dai suoi esordi (“Mon peuple, c’est pour toi que j’ai chanté… c’est d’apres toi que je peins”).
Il panorama visivo e sonoro di uno shtetl (tipico villaggio ebraico dell’Europa orientale) lituano all’inizio del secolo scorso viene evocato in Bobba (nonna, in yiddish), opera da camera per tenore e ensemble in cinque quadri del fotografo Julien Taylor con musiche di Arthur Lavandier. Una serie di brevi testi della letteratura ebraica tratti da un quaderno di Sonia Kotkin, nonna del fotografo, fungono qui da riferimento letterario, narrando piccole scene di vita quotidiana – il villaggio, una notte d’inverno, un funerale per la partenza per Gerusalemme, un matrimonio. Un spettacolo fatto di piccoli gesti e pochi elementi essenziali, reali e immaginari, incorniciato da una scenografia stampata su grandi fogli in bianco e nero; i cambi scena, con il rumore della carta strappata a fare da contrappunto (forse involontario) alla musica, ricordano inevitabilmente le pagine strappate della storia del popolo ebraico. Impeccabile per qualità attoriali e vocali il tenore Manuel Nuñez Camelino, accanto ai solisti dell’Ensemble Le Balcon, tra cui spicca in particolare la violinista You-Jung Han: è il suo violino ad accompagnare la maggior parte dei momenti dell’opera, che pare quasi animarsi da un quadro chagalliano. Le musiche di Lavandier creano per lo più situazioni intime, in cui i musicisti diventano attori in dialogo con la voce, senza mai scadere nel richiamo diretto della musica klezmer, forte di uno stile che ricorda le sperimentazioni della Kammeroper del secolo scorso e ricreando così un mondo perso tra le pieghe del tempo e dello spazio.
Il weekend chagalliano prosegue nella sala grande della Philharmonie con la London Symphony Orchestra diretta da Valery Gergiev, che ne è stato direttore principale negli ultimi otto anni e con cui attualmente sta conducendo una tournée di congedo nelle principali sale concertistiche mondiali. L’esordio è un po’ in sordina, con la Suite di danze di Bartók che fatica a trovare un affiatamento nella compagine orchestrale, ma ben presto la situazione ritorna agli altissimi standard a cui si è abituati. Gergiev è un uomo di teatro (direttore artistico e musicale del Marinskij di San Pietroburgo) e la sua gestualità spesso apparentemente oscura trova una risposta più pronta e convincente nelle musiche del Mandarino meraviglioso di Bartók, e ancor di più nell’Uccello di fuoco di Stravinskij, in una lettura energica, ritmica e molto fisica ma sempre attenta ai chiaroscuri della partitura. È tutto un trionfo di musica e colore, che evoca la potenza del tratto chagalliano, in una drammaticità che raggiunge il suo culmine nel bis con Montecchi e Capuleti dal Romeo e Giulietta di Prokofiev, con grande plauso del pubblico.
Il weeekend inaugurale termina con Chagall, La couleur des sons di Mikhail Rudy. La prima parte è strutturata come un classico recital pianistico dedicato a Skrjabin e Prokofiev (spicca l’interpretazione di Vers la flamme e di Visions fugitives) mentre la seconda è accompagnata dalle proiezioni dell’affresco dell’Opéra Garnier animato in maniera delicata da Mathilde Germi. Le musiche scelte da Rudy richiamano i quattordici compositori del pantheon chagalliano – l’Orfeo e Euridice di Gluck nella versione pianistica di Sgambati, la Fantasia in re minore di Mozart, la Morte di Isotta di Wagner-Liszt, gli Studi di Debussy – che danzano in armonia con le immagini sullo sfondo, in un crescendo che termina sulla travolgente Valse raveliana. Nonostante la lettura non sia sempre memorabile, peccando in alcuni momenti di alcune forzature drammatiche, la sincronia tra video e musica come del resto la proposta musicale è di grande suggestione, coronando così il fine settimana in un tripudio di timbri e colori. Per il pubblico parigino – accorso entusiasta per questa serie di eventi – sarà difficile non richiamare alla memoria le vivide tinte chagalliane ascoltando alcune delle pagine del Novecento presentate nel corso di quest’interessante iniziativa.
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