di Mario Leone foto © Musacchio&Iannello
“L‘Arte salva l’Arte”. Da ormai quindici anni la Fondazione Pro Musica e Arte Sacra organizza un Festival musicale che ha come principale obiettivo la raccolta di fondi per la ristrutturazione di opere d’arte. A dare ulteriore risalto ad un così nobile ideale il “palcoscenico dei concerti” rappresentato delle più importanti Basiliche romane e l’esecuzione di un concerto, affidata ogni anno all’orchestra in “residence”, quella dei Wiener Philharmoniker.
La compagine viennese si è presentata al pubblico romano (in verità la platea è fortemente internazionale) nella cornice del tempio paolino (quella Basilica di San Paolo eretta in onore del “dottore del mondo”) con un programma tutto beethoveniano. Ottava e Settima Sinfonia dirette da Herbert Blomstedt, profondo conoscitore del repertorio Classico e in particolare di quello di Beethoven. Un’esecuzione plastica, puntuale da ogni punto di vista, e ben costruita pur in presenza delle enormi problematiche acustiche che la ‘sala’ presenta. Il Direttore opta per tempi non troppo veloci, sonorità mai aggressive e fraseggi ben articolati. Il rimbombo e un’acustica che tende a ovattare il suono degli archi sono ben superati con la chiarezza delle voci, i dialoghi tra le parti e il controllo della frenesia. Questo soprattutto nella Settima Sinfonia, che Richard Wagner definisce come l’apoteosi della danza, una Sinfonia dove «ogni impeto, ogni brama e tumulto del cuore diventa qui una deliziosa esuberanza della gioia che si trascina con bacchica onnipotenza attraverso tutti gli spazi della natura».
La medesima attenzione caratterizza anche l’esecuzione dell’Ottava. La “piccola Sinfonia” (come Beethoven stesso amava soprannominarla) è uno dei lavori meno eseguiti del genio di Bonn e che sin dalla sua genesi ha dovuto superare la delusione dei contemporanei e dei posteri. Famoso il grido piovuto dal loggione la sera della prima esecuzione: «Es fällt ihm schon wieder nichts ein!». «Ecco che è di nuovo privo di idee!»: testimonianza tremenda di insensibilità umana prima ancora che artistica di fronte ad un’opera meravigliosa la cui grandezza risiede proprio nella esasperata compressione della forma (che vedrà il suo esatto opposto con l’avvento della Nona) senza che questa perda d’identità.
L’Arte salva l’Arte ricordavamo all’inizio. “La Bellezza salverà il mondo” diceva anni prima Fëdor Michajlovič Dostoevskij. Una bellezza disarmata che non ha bisogno di altro per salvare, per calamitare la persona e riaccenderle il desiderio del vero.