di Maria Severini
MUSICA CHE RIUNISCE. Musica come identità. Sono tante le storie da narrare. Non c’è solo la vicenda di Ayham Ahmad, il pianista amatoriale che canta storie di guerra. Dopo gli ultimi tristi episodi della diaspora siriana, che ha portato anche in Germania un massiccio numero di profughi, la notizia della Syrian Expat Philharmonic Orchestra appare come un segno concreto di integrazione e di speranza. Pochi giorni fa a Brema, nel nord della Germania, ha debuttato infatti nella Sendesaal un’orchestra particolare, composta in maggior parte da musicisti siriani e qualche musicista tedesco – laddove non è stato possibile coprire alcuni strumenti.
L’idea della Syrian Expat Philharmonic Orchestra nasce da un giovane contrabbassista siriano, Raed Jazbeh, che, scappato a Brema un paio di anni fa, ha iniziato nel tempo a prender contatti con altri musicisti che cercavano asilo in Germania e in altre città europee. E così ne ha trovati trenta e li ha convinti a partecipare al suo progetto. Quasi tutti provengono dalla Siria, dove svolgevano la professione di musicisti e la maggior parte di loro si conosceva dai tempi dello studio a Damasco, dove si trova il più importante Istituto musicale del Paese.
Il 22 settembre la Syrian Expat Philharmonic Orchestra diretta da Martin Lentz ha debuttato con musiche di compositori arabi e siriani, tra i quali Maias Alyamani, Issa Boulos, Salim Dada e della tradizione colta europea come Franz Schubert, Čajkovskij e George Fenton. I biglietti del concerto sono andati esauriti molto presto e l’orchestra, cavalcando l’onda dell’entusiasmo, ha già reso nota la prossima imminente data: il 3 ottobre a Lüneburg. «La guerra non ci fermerà – afferma uno di loro – continueremo a fare musica ovunque saremo».