Nel Konzerthaus, la lezione di Abbado traspare in una scattante lettura alla testa dei Wiener Symphoniker, mentre Gerhaher e la Karg capeggiano una compagnia di canto prossima all’ideale
di Francesco Lora
Nel gennaio 2013 le hanno eseguite nella Herkulessaal di Monaco di Baviera, e la relativa incisione dal vivo fa ora bella mostra di sé nei negozi di dischi. Il 21 e 22 novembre, nel Konzerthaus di Vienna, Daniel Harding stesso e gli stessi protagonisti vocali sono tornati a quelle favolose Szenen aus Goethes Faust di Robert Schumann, l’oratorio profano snobbato tra il cadere dell’Ottocento e il sorgere del Novecento, e poi amato da Benjamin Britten, Nikolaus Harnoncourt e Claudio Abbado. Davvero, nella vigile nettezza del disegno melodico, nella traslucida penetrabilità delle masse sonore, nello scattante puntare al cuore del discorso, la lettura di Harding non potrebbe essere più chiaro omaggio alla lezione di Abbado, tanto meglio ora che l’oro dei Wiener Symphoniker si sostituisce al velluto della Symphonieorchester des Bayerischen Rundfunks.
Senza rivali si conferma il baritono Christian Gerhaher (Faust, Pater Seraphicus e Dr. Marianus), liederista senza rischio di calligrafismo e però immacolato nella dizione, fragrante nel porgere, inesauribile nelle sfumature, alato nell’emissione, liquidissimo nel legato, tanto radioso e morbido da sconfinare nel tenorile non già per pasta vocale ma per giovinezza di spirito. Una meraviglia. Si pone con lui alla pari il soprano Christiane Karg (Gretchen e Una Poenitentium), eccellente per omogeneità attraversi i registri, accorata delicatezza espressiva, solidità tecnica mai affetta da scolasticismo, dignità di figura scenica anche in sede concertistica. Nella rosa delle parti di fianco, fanno presto a distinguersi il tenore Andrew Staples (Atiel e Pater Exstaticus), con la sua luminosa eleganza, e il basso Franz-Josef Selig (Pater Profundus), con il suo affondo rotondo e sonoro.
Assai debole è per contro il terzo in gerarchia, il basso Alastair Miles (Mephistopheles e Böser Geist): i modi leziosi, sovraccarichi, infine involontariamente caricaturali si appoggiano su un volume modesto, uno smalto esausto, un’emissione affannosa, un corpo misero, una pronuncia anglicizzante, facendo rimpiangere un allargamento d’impegno da parte di Selig. Notevole tutta la soluzione delle restanti dramatis personæ, tra le quali spiccano ancora il limpido e penetrante soprano Christina Landshamer (Marthe, Sorge e Magna Peccatrix), il diligente e forbito mezzosoprano Jennifer Johnston (Noth e Mulier Samaritana) e il sontuoso e monumentale contralto Gerhild Romberger (Mangel, Maria Aegyptica e Mater Gloriosa). Sollecite, entusiastiche e prodighe di risorse le sezioni corali della Wiener Singakademie e le voci bianche del Wiener Staatsoper.