In scena a Londra la fortunata versione musicale, nominata ai Grammy, di un classico intramontabile del teatro vittoriano
di Francesco Fusaro foto © Stephen Kummiskey
RICORDATE L’ULTIMA VOLTA in cui vi è capitato di ridere di cuore, e a ripetizione, mentre assistevate ad un’opera contemporanea? Forse molti di voi non ricordano nemmeno quando hanno assistito ad un’opera contemporanea di recente, figuriamoci riderne (e non per scherno). Ebbene, ridere di gusto è quello che è successo a più riprese al pubblico convenuto ieri sera al Barbican Centre di Londra per la riproposizione della fortunata versione di Gerald Barry di un classico intramontabile del teatro vittoriano, The Importance of Being Earnest di Oscar Wilde. Eseguita per la prima volta in una versione concertistica dalla Los Angeles Philarmonic Orchestra – che l’aveva commissionata insieme allo stesso Barbican – nell’aprile 2011 e poi, in versione per il palcoscenico, a Nancy nel 2013, The Importance of Being Earnest versione Barry è presto diventato un tassello così importante del repertorio operistico contemporaneo da essere persino stato nominato ai Grammy. E con buona ragione.
[restrict paid=true]
Rispetto ad esempio alla versione surreale ed onirica di Antony McDonald, presentata nel 2013 al Millenium Theatre di Derry, l’interpretazione di Ramin Gray punta tutto sull’assenza di scenografie e sull’uso delle luci
Le felicissime idee musicali e teatrali che il compositore irlandese (autore del libretto, oltre che della musica) è riuscito a mettere insieme negli otto mesi impiegati per consegnare il lavoro a Los Angeles incollano infatti lo spettatore alla sedia per quell’ora e mezza circa prevista per l’esecuzione, tanto da far apparire l’intervallo di venti minuti quasi nocivo al godimento dello spettacolo. Tutto funziona a pieno regime in The Importance of Being Earnest: dalla musica, un pastiche acuto e spassoso di brani celebri (da Auld Lang Syne a Freude, schöner Götterfunken) e stilemi disparati (musica atonale e Sprechgesang, musica per il cinema e mickeymousing) al libretto, che smonta l’originale di Wilde facendosi volutamente un baffo dell’accentazione inglese (spesso i cantanti chiudono la sillabazione in ritardo, ad esempio) e, pur mantenendo intatto il plot, si concentra su momenti volutamente grotteschi, fra i quali spicca lo scambio fra i personaggi di John Worthing e Algernon Moncrieff riguardo a dei… muffin! Non è un caso forse che qualche spettatore si sia allontanato durante l’intervallo per non fare più ritorno: è facile pensare infatti che Barry abbia voluto far scempio in un colpo solo del teatro vittoriano, dell’opera e delle avanguardie storiche.
Tutto il contrario: il compositore ha saputo mischiare sacro e profano con la sapienza di chi conosce e rispetta le fonti, pur sapendo che esse possono essere rimaneggiate per parlare al mondo d’oggi. Sì, verrebbe alla mente il termine postmoderno, se non fosse passato di moda. Che dire invece della messa in scena? Rispetto ad esempio alla versione surreale ed onirica di Antony McDonald, presentata nel 2013 al Millenium Theatre di Derry (Nord Irlanda), l’interpretazione di Ramin Gray punta tutto sull’assenza di scenografie e sull’uso delle luci, lasciando lo spazio scenico a disposizione di una capacissima Britten Sinfonia diretta con sangue freddo invidiabile da Tim Murray. Cantanti e musicisti condividono dunque quello spazio fisico che la musica di Barry sembra continuamente mettere in discussione: recitazione, canto e musica si rincorrono, si prendono in giro a vicenda, si rispondo e si prevaricano, mettendo alla prova le abilità degli interpreti (basti dire che il personaggio femminile di Lady Bracknell è affidato all’abilità del basso Alan Ewing) e contribuendo così alla funambolica marcia dell’opera verso un finale che agli occhi italiani pare quasi un omaggio a Fellini: il cast (sia detto composto da cantanti eccezionali anche nella recitazione) che tenendosi per mano passeggia lungo il perimetro del palcoscenico non può infatti che ricordare il finale di quel capolavoro che è Otto e mezzo. Insomma, se Gerald Barry fosse nato nel 1972, anziché nel 1952, probabilmente avremmo potuto definire The Importance of Being Earnest «l’opera geniale della generazione MTV».
[/restrict]