A Palermo l’opera di Rossini con l’utilizzo in scena della tecnica del “chroma key”, un sistema sofisticato di proiezioni interattive
di Santi Calabrò foto © Rosellina Garbo
Preceduta da un battage adeguato alle innovazioni dell’allestimento, è andata in scena a Palermo la Cenerentola di Rossini, nuova coproduzione tra il Massimo e il Teatro delle Muse di Ancona. Tutta da vedere è l’utilizzazione in scena della tecnica del “chroma key”, un sistema sofisticato di proiezioni interattive. Come spiega il regista Giorgio Barberio Corsetti, si tratta in realtà di due tecniche diverse: «da una parte abbiamo la possibilità di far agire i cantanti all’interno di scenografie o, come in questo caso, di disegni, che sono giustapposti… dall’altra la possibilità di “dipingere” le scenografie come delle proiezioni video, che sono mappate e vanno a ricoprire esattamente dei punti delle scenografie». Il risultato è spettacolare, tanto più perché in scena agiscono cantanti che recitano benissimo, e il loro frequente primo piano sul video restituisce una “verità” diretta e coinvolgente. Di fronte a un colpo d’occhio così accattivante il pericolo è però quello di non calibrare la sua autonoma capacità di significazione rispetto all’impianto drammaturgico dell’opera, e qui Barberio Corsetti tende a mancare il colpo.
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Lo spettacolo è curatissimo, delizioso e anche con diversi momenti di innegabile congruenza con singoli momenti dell’opera, ma nella visione di insieme il mezzo tecnico tende a invadere il piano dei significati, fino a far girare a vuoto il Finale. La proiezione gigante di Don Ramiro nella sua prima invettiva minacciosa contro Don Magnifico e le due sorellastre, che maltrattano Cenerentola dopo che il principe ha dichiarato pubblicamente che la sposerà, e la successiva proiezione sempre in formato gigante di Cenerentola che invita lo stesso principe a essere clemente e perdonare, costituiscono errori drammaturgici belli e buoni, considerato che ancora per un bel po’ il meccanismo giocoso e iterativo di Rossini ripropone l’aggressività della famiglia, l’ira del principe e la clemenza di Cenerentola. A quel punto scopriamo in Cenerentola una curiosa incapacità di concludere! Il problema non sta, ovviamente, nell’opera quanto nella regia, perché costruisce un punto culminante scenico a prescindere dalla sua presenza nell’opera.
A parte l’eccesso di entusiasmo verso le meraviglie del mezzo visuale, Barberio Corsetti tende anche a rileggere Cenerentola in chiave psicologica, e vorrebbe persino renderci partecipe della «voragine interiore» delle sorellastre. Chissà quanto Rossini sorriderebbe di questo! Una buona esecuzione musicale si accompagna allo splendore della scena e ai suoi fraintendimenti. Gabriele Ferro dirige bene, privilegiando il lirismo, la misura e il ritmo dell’insieme, la protagonista Chiara Amarù ha una facilità vocale e un senso della musica fuori dal comune, pur non possedendo la vocalità appropriata all’agilità rossiniana, René Barbera invece come Don Ramiro colpisce proprio per l’appropriatezza del colore vocale. Cantano bene e recitano benissimo anche Riccardo Novaro, (Dandini), Paolo Bordogna (Don Magnifico), Marina Bucciarelli (Clorinda), Annunziata Vestri (Tisbe) e Gianluca Margheri (Alidoro).
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