Al Teatro Massimo è andata in scena l’opera di Philip Glass. Tra streghe trans, bambini zombie, Re impotente e Bambino Pianta si evoca il teatro dell’assurdo per esaltare il lato oscuro dell’esistenza umana
di Monika Prusak foto © Franco Lannino
Si riempie di significati contemporanei il nuovo allestimento de Le Streghe di Venezia di Philip Glass con testo di Vincenzo Cerami tratto da una fiaba di Beni Montresor, proposto dal Teatro Massimo di Palermo a soli dieci giorni dalla rappresentazione di un’altra fiaba musicale, La Cenerentola di Rossini. Questa volta la tecnologia Chroma Key, che permette di ambientare attori e oggetti su sfondi virtuali – realizzata anche in Rossini dallo stesso team di esperti (Igor Renzetti, Lorenzo Bruno, Alessandra Solimene) – incontra un testo novecentesco e una musica alquanto moderna dall’andamento ritmico e incessante. Philip Glass è un minimalista cresciuto con rock e jazz, e la musica delle Streghe risuona di queste antiche passioni fortemente radicate nel suo DNA compositivo. Tuttavia, non è una partitura di facile esecuzione, tanto meno di facile ascolto, soprattutto per il pubblico teatrale abituale che si ostina a non riconoscere il giusto valore storico e artistico alla musica contemporanea. Può darsi che Glass non abbia retto il confronto con l’amatissimo (e conosciutissimo) Rossini, la cui vicinanza nel cartellone ha con tutta probabilità giocato a sfavore della fiaba “veneziana”. Le due opere sono state, inoltre, legate dalla stessa figura del regista: Giorgio Barberio Corsetti ha lasciato un’impronta forte e controversa, ma non per questo negativa.
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Gli echi lontani del teatro dell’assurdo e del surrealismo esaltano il lato oscuro dell’esistenza umana, nonostante siano celati sotto un’ironia licenziosa e irresistibile che segue instancabilmente l’andamento ora festoso ora lirico della musica. Le scene confinanti con sadismo tra streghe trans, amiche dell’Orco, si mescolano con le dolci note del Coro di voci bianche. I bambini zombie con il coltello in testa danzano al sabba delle streghe, con il Re impotente di Venezia e la sua Domestica ubriacona. L’unico ad andare oltre tutta questa confusione è il Bambino-Pianta abbandonato al proprio destino che, rifiutando l’invito a prendere vie pericolose, spicca il volo verso l’amicizia che infine lo salverà dalla solitudine. Le uniche a fare una brutta fine sono le verdure amiche del Bambino: La Domestica in un momento di vena culinaria le frigge in un padellino. L’immagine, apparentemente grottesca e insignificante, grazie al sottofondo sonoro drammatico acquista un senso profondamente umano. Assistiamo a una morte lenta e crudele, in diretta, rafforzata dalla sadica e compiaciuta insistenza della protagonista. Un altro aspetto non trascurabile è la dura critica rivolta ai «filosofi di tutto il mondo», che non riescono a trovare la soluzione per far nascere il tanto desiderato figlio al Re: ogni volta che fanno un tentativo, al posto di un bambino spunta una pecora e per questo litigano tra loro con violenza.
A contribuire in modo significativo alla buona riuscita di questo breve ma interessante lavoro sono stati i cantanti, gli attori, i coristi e gli strumentisti, che hanno creato insieme un cast affiatato in ogni parte della messa in scena. Il protagonista assoluto è stato Il Re di Venezia, recitato con tanta naturalezza vocale e ottima presenza scenica da Gianluca Bocchino, con accanto la sua fedele Domestica, interpretata da Valeria Tornatore, cantante dalla voce scura e suadente, nonché ottima attrice. Estremamente divertente, naturale e valido dal punto di vista vocale, è risultato anche L’Orco di Salvatore Grigoli, che ha interagito con il pubblico della platea, sorpreso a vedersi ripreso sullo schermo. Ha convinto di meno la vocalità di Gabriella Costa in Strega e Fata, che comunque ha reso molto credibili i personaggi. Una nota va alla piccola Carlotta Maestrini nei panni della Narratrice e successivamente della Bambina-Fiore, e a Riccardo Romeo, un Bambino-Pianta dalla voce intonata, tenera e commovente. La ciliegina sulla torta è stata la partecipazione del gruppo vocale Sei Ottavi, che, oltre a rendere ancora più moderna la musica di Glass, ha avuto una sua importanza per lo svolgimento dell’azione. Anche i mimi hanno contribuito al ritmico andamento della musica e delle immagini (Valeria Almerighi, Valentina Apollone, Giulia Cutrona, Giovanni Prosperi e Daniele Savarino). Francesco Lanzillotta ha diretto l’orchestra con mano decisa e allo stesso tempo giustamente flessibile, trascinando i musicisti nella sua pulsante interpretazione. Una nota particolare va all’autrice dei costumi, Marina Schindler, e al lighting designer, Gianluca Cappelletti, che hanno creato un gioco di colori irresistibile, grazie al quale è stata perfettamente mantenuta la dimensione fantastica e carnevalesca della fiaba veneziana.
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