di Luca Chierici foto © Brescia&Amisano
A ventuno anni di distanza dall’ultimo allestimento curato da Jonathan Miller con la direzione introspettiva e sensibilissima di Giuseppe Sinopoli è tornata alla Scala La fanciulla del West, forse l’opera di Puccini più difficile da comprendere in tutta la sua portata storica, vero punto di svolta nel percorso creativo del musicista. Il compositore affronta qui l’evoluzione del linguaggio musicale del primo ’900 rivelando non solamente una conoscenza approfondita di tutto ciò che veniva prodotto in un’epoca di straordinari rivolgimenti culturali, ma applicando secondo parametri personalissimi le nuove conquiste nel campo dell’armonia: ciò che era stato utilizzato in particolare da Debussy e dall’impressionismo francese soprattutto a fini coloristici viene però da lui amplificato nella definizione dei caratteri psicologici di personaggi e situazioni, senza peraltro rinnegare gli elementi più originali della propria produzione antecedente, come se vi fosse una segreta linea di continuità espressiva che parte da Tosca, Bohéme e soprattutto Butterfly e approda infine a questa Fanciulla del West, per molti versi anticipatrice della stessa Turandot. Accordi estesi, dissonanze, sovrapposizioni tonali, ritmi complessi vengono utilizzati con una disinvoltura incredibile e senza che si percepisca mai un che di forzato, di didascalico. E l’idea espressa da Mitropoulos relativa a una esecuzione puramente orchestrale di questo lavoro è tutt’altro che peregrina e poterebbe a una maggiore comprensione dello straordinario tessuto sinfonico dell’opera.
Sulla nuova produzione affidata a Robert Carsen, certamente uno dei registi più dotati dei nostri giorni, e sull’operazione di ricostruzione della partitura originale condotta da Chailly in base ai documenti in possesso di Casa Ricordi si giocava questa Fanciulla scaligera che rimarrà sicuramente tra le cose più notevoli proposte dal Teatro in questa stagione. Come in ogni grande evento che si rispetti, non si fanno mai sufficientemente i conti con gli imprevisti che possono mescolare le carte in tavola – ogni riferimento al secondo atto dell’opera è puramente casuale – e la forzata assenza di Eva-Maria Westbroek, il soprano designato per l’occasione e sostituito all’ultimo momento da Barbara Haveman, non ha permesso l’ascolto di alcune parti che erano state oggetto di taglio da parte di Toscanini all’epoca della prima esecuzione dell’opera a New York, anche e non solamente per far fronte all’acustica del vecchio Metropolitan.
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