Il raro titolo si conferma gemma del festival in corso: direzione dello specialista Webb, spettacolo firmato da un Talevi a pieni giri, compagnia di canto senza punti deboli e dominata da una sorprendente Boylan
di Francesco Lora foto © Simone Donati
Il Teatro del Maggio Musicale Fiorentino è, da tempo e in particolare negli ultimi quindici anni, il consolato di Benjamin Britten in Italia. Death in Venice, Peter Grimes, The Rape of Lucretia e The Turn of the Screw, suoi capolavori operistici, sono andati in scena in riva all’Arno in spettacoli tutti di riferimento, indimenticabili, che hanno in un sol tempo sensibilizzato il pubblico e l’orchestra al massimo compositore britannico del Novecento. Si rimpiange allora tanto più il Billy Budd annunciato nel Maggio musicale fiorentino 2009, con Bruno Bartoletti e Samuel Ramey, ma poi cassato dal programma per desolante mancanza di fondi. E si gioisce per un nuovo spettacolo britteniano, titolo raro, andato in scena nel Maggio musicale fiorentino corrente per quattro recite (21-31 maggio): Albert Herring. Opera comica: la bigotta commissione di un piccolo centro inglese, presieduta da Lady Billows, non trova la ragazza illibata e irreprensibile da incoronare Regina di Maggio; elegge così, a scorno delle ragazze, un Re di Maggio, Albert Herring, ragazzo la cui operosità, castità e rettitudine sono i risultati di una madre che l’ha inibito; il rum versato per scherzo nella sua coppa, durante il banchetto di premiazione, contribuisce a liberarlo dal giogo materno e da una situazione patetica: dopo una notte da disperso, lo si vede tornare all’alba, con qualche sterlina in meno tra quelle ricevute e iniziazione fatta alle gozzoviglie giovanili di città.
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Spettacolo perfetto nel Teatro della Pergola, fatto non per il pubblico che capita ma per quello che conta. Concertatore sul podio e al pianoforte è Jonathan Webb, specialista britteniano in solida complicità con l’orchestra fiorentina, qui tanto ruggente, smagliante e spigliata da confondere: quando, all’intervallo, si va da metà platea ad affacciarsi sul golfo mistico, ci si ricorda solo allora, con l’aiuto degli occhi, che l’organico è da camera e conta appena una dozzina di strumenti. Esatta nelle figurazioni e soppesata nei timbri, sollecita agli idiomatismi e asciutta poiché ricca di humour, la lettura di Webb è, più ancora, regìa musicale, e persino fonetica e verbale, di una compagnia di canto assortita con ogni perizia. Al vertice si pone Orla Boylan come Lady Billows: voce di imponente calibro drammatico, con le rotondità di timbro, le ondate di suono e le asprezze d’emissione tipiche di chi pratica l’eloquio tragico e un repertorio oneroso; la si scopre regina del canto di conversazione, della recitazione brillante e della caratterizzazione autoironica, come potrebbe reggere soltanto in presenza di una primadonna laureata in Wagner, Puccini e Strauss. Il suo gioco regge anche grazie alla spalla che sempre le dà, in superba intesa e con fraseggio caustico, Gabriella Sborgi nella parte della governante Florence Pike.
Caratteristi dal porgere minuzioso nelle parti dei restanti membri del comitato: Anna Gillingham come Miss Wordsworth, Zachary Altman come Mr. Gedge (il parroco), Christopher Lemmings come Mr. Upfold (il sindaco) e Karl Huml come Sovrintendente Budd; si suddividono con simpatia i risvolti espressivi del moralismo, più variamente sopportato o assecondato che in effetti professato. Vivida, spontanea e fresca in ogni parola e gesto, come dev’essere, la coppia degli amanti Sid e Nancy, qui tenuta da Philip Smith e Rachel Kelly. Eccellente è Sam Furness nel mettere a punto l’evoluzione psicologica del protagonista, con una tale varietà e prestanza di risorse attoriali da asservire sempre il canto in sé (solido) alla frase teatrale (sferzante). Bravissima è anche Manuela Custer come Mamma Herring: dismesse le pretese da belcantista, che oggi le procurano giuste censure, come caratterista in un’opera di metà Novecento ella sa collocare nel giusto segno musicale e teatrale un canto che ha ancora smalto, scarti di registro ostentati e altrove grotteschi, nonché la vera abilità nel calare le battute di una commedia.
Una garanzia è anche nel trio di voci bianche per le parti di Emmie, Cis e Harry: non i soliti bambini di madrelingua e cultura italiana, pescati da cori improbabili, stonacchiati e mandati allo sbaraglio, come tante Zauberflöte nostrane rammentano al melomane, ma Sophie Gallagher, Bonnie Callaghan e Nicholas Challier, anglofoni per origine, ineccepibili nel canto, incontenibili nel movimento. Non bastasse, l’operazione vara anche il secondo più bello spettacolo mai sfornato dal regista Alessandro Talevi, con l’aiuto di Matthew Haskins per il disegno luci e di Madeleine Boyd per scene e costumi. Insuperabile rimane, per geniale infinità di idee, L’amour des trois oranges andato in scena nel MMF 2014. Questo Albert Herring lo segue di un soffio nel ricreare a puntino, con poca spesa, l’atmosfera della provincia vittoriana nell’anno 1900, con estasiante messa a fuoco degli angoli di buono e cattivo gusto, delle gerarchie tra personaggi e del punto di vista di ciascuno sugli spazi. V’è anche un coup de théâtre da mozzare il fiato – tanto per intendersi subito – alla fine del primo quadro dell’opera, quando il comitato dei moralisti ha deciso chi eleggere, l’interludio strumentale guida al quadro seguente e tutta la scena si cambia in un surreale ed esilarante festino orgiastico, presieduto dall’anima defunta di Lord Billows e, forse, vero specchio delle frustrazioni della comunità piccina. Peggio per chi, alla Pergola, non è voluto venire.
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