di Santi Calabrò
La Sinfonia in La di Gino Marinuzzi, composta per buona parte nei rifugi antiaerei milanesi durante i bombardamenti della Seconda guerra mondiale, meriterebbe un posto stabile nel repertorio sinfonico. La rara e meritoria proposta del Teatro di Catania, che l’ha programmata sotto l’efficace direzione di Giuseppe Grazioli, ha avuto un’accoglienza entusiastica da parte del pubblico, a riprova, se ce ne fosse ancora bisogno, di come ci sia tutto un Novecento da riscoprire: moderno, colto, non manieristico e tenacemente estraneo all’archiviazione della tonalità – bandiera, questa, delle avanguardie musicali –.
Grazioli ha studiato evidentemente con impegno e passione la difficile partitura, portando l’orchestra catanese a renderne efficacemente la campata grandiosa. A voler descrivere in sintesi il carattere della Sinfonia in La, bisogna sgombrare il campo dal riflesso condizionato del concetto, qui non pertinente, di “neoclassico”. Tale vocabolo è di certo appropriato a molte composizioni del Novecento che adottano la forma-sonata e, con il conforto di una intelaiatura strutturale tetragona, liberano le loro energie creative dentro lo “stampo” accreditato dalla tradizione. Di tutt’altro segno il procedere di Marinuzzi: la correlazione tra la superficie motivica delle due sezioni espositive del I movimento – l’una caratterizzata da sapiente intarsio musivo di aguzzi disegni tematici in stato di agitazione metrica e tonale (soprattutto tra La minore e le tonalità maggiori di La e Do, corrispondente e relativa), l’altra da un tipico “secondo tema” disteso e melodico – risponde a proporzioni che coinvolgono dialetticamente la concezione armonica su grande scala.
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Le esigenze dell’equilibrio tonale e la logica stessa del materiale musicale si riflettono per esempio nel dato vistoso delle due esposizioni tonalmente bifide del secondo tema: Do magg.e Mi magg. nell’esposizione, Fa magg. e La magg. nella ripresa. Da questo punto di vista il compositore palermitano Marinuzzi appare veramente classico nel senso beethoveniano: il comporre coincide con un rovello formativo e processuale esercitato organicamente su tutti i parametri del linguaggio musicale. La modernità e le sue frammentazioni lasciano il loro segno in un continuo assalto all’arma bianca alla compattezza del tessuto, ma il ferreo dominio della logica d’insieme non viene meno, inglobando ogni straniamento nella pienezza della struttura. Modalità costruttive e regimi di senso pienamente classici permeano l’opera anche sotto altri aspetti: il primo movimento si intitola Apertura, poi dal Rinascimento si risale direttamente a Virgilio con il secondo movimento, Georgica, fino al conclusivo Ditirambo.
Non mancano elementi tematico-simbolici espliciti – come la cellula tematica relativa all’Oro e ai suoi nefasti effetti che proviene dalla Tetralogia wagneriana; il richiamo al Preludio e preghiera composto dallo stesso Marinuzzi dopo la perdita del primogenito Antonio –, ma essi si integrano nella struttura in un modo pienamente classico, dove il significato emana dal complesso della forma più che dalle puntuali occorrenze retorico-gestuali. La dionisiaca sfrenatezza di gran parte del finale, infine, guarda per un verso a una classicità còlta nietzschianamente in tutti i suoi aspetti, per altro verso a un più diretto rispecchiamento della temperie storica scossa da un immane conflitto. Preceduta da una prima parte gradevole e in linea con un omaggio complessivo alla Sicilia – Sinfonia dai Vespri siciliani di Verdi e Ballabili dal film Il Gattopardo di Nino Rota –, la Sinfonia di Marinuzzi non è stata seguita da bis solo perché con ogni evidenza l’orchestra aveva dedicato tutte le sue risorse e anche di più per essere all’altezza del difficile compito. Registrati gli aspetti cronachistici del successo di pubblico e quelli culturali in senso storico della messa in luce di un repertorio novecentesco dimenticato, va aggiunto il valore forse più urgente e attuale da attribuire alla conoscenza della musica di Marinuzzi (come di quella di altri compositori del Novecento non allineati all’ideologia del Progresso).
È vero infatti che oggi si assiste a uno sdoganamento nell’offerta di “musica contemporanea”, ma resta sempre più arduo pensare a una diffusione di strumenti critici tali da non prendere per buona e giusta (e colta!) qualsiasi contaminazione, e da distinguere un banale minimalismo o un neoromanticismo senza spessore da compositori contemporanei – ce ne sono – che ripercorrono con cultura, senso della storia e senso della modernità le strade della tonalità. In questo senso i culmini di un “Novecento alternativo” possono educare anche il gusto odierno.
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