di Attilio Piovano foto © Gianluca Platania
Non accade certo tutti i giorni che un soprano dalla voce incantevole e dalla tecnica strepitosa decida di mettersi in gioco anche in veste di direttore d’orchestra. Barbara Hannigan affronta questo duplice ruolo da tempo e i risultati sono eccellenti. MiTo è anche questo, programmi innovativi e per certi versi fuori dagli schemi, serate-spettacolo di sicuro appeal e altro ancora. E così ecco che la sera dello scorso 3 settembre, al Lingotto di Torino, il soprano canadese ha offerto un programma ricco e variegato a un pubblico attento e ricettivo (anche se meno folto di quanto la serata meritasse, ed è un peccato) con al centro diverse declinazioni di immagine femminile e l’acqua come elemento simbolico a saldare idealmente pagine assai dissimili, pur unificate dall’eros serpeggiante.
In apertura, con coreografico effetto, da una postazione laterale, è stato il flauto di Ingrid Geerlings a ‘dare il la’, e allora di Debussy l’immortale e simbolista Syrinx. Sul palco l’Orchestra Ludwig, una formazione dall’inappuntabile precisione e maestria. E subito Barbara Hannigan ha affrontato il poema sinfonico Luonnotar del finlandese Sibelius. Voce stilisticamente appropriata e giusti accenti espressivi, sicché quella melanconia di fondo, quello spleen in bilico tra simbolismo nordico e postumi di certo tardo-Romanticismo che del brano costituiscono i presupposti essenziali, sono emersi al meglio nel corso dell’esecuzione di una pagina tanto raffinata quanto sfuggente ed enigmatica. La Hannigan tiene saldamente in pugno l’orchestra, anche se per la verità la formazione è una di quelle che (senza nulla togliere al ‘podio’) potrebbe benissimo suonare in assenza di direttore. Certo, gli attacchi sono graditi e talora preziosi, le indicazioni di fraseggio importanti e via dicendo; pur tuttavia – e non è una diminutio, al contrario è segno apprezzabile – quando la Hannigan canta, necessariamente voltandosi verso il pubblico, in tal caso la sua direzione prosegue in maniera per così dire allusiva, con cenni essenziali alla compagine alle sue spalle. La pagina ha regalato innegabili emozioni, nonostante una certa sua prolissità che in qualche caso finisce per danneggiarla un poco innescando una certa monocromia.
Poi ecco la Suite op. 80 ovvero le sublimi musiche di scena concepite dal raffinato Fauré per il Pelléas et Mélisande di Maeterlinck che la Hannigan ha diretto con mano felice e delicatezza di tratti, dall’iniziale Prélude, vero distillato di preziosità armoniche, giù giù sino alla toccante Morte de Mélisande. Avremmo desiderato qualche maggior indugio e un lavoro di bulino più accurato nella fluttuante Sicilienne scivolata via un po’ così, ma è un dettaglio che nulla ha tolto alla validità dell’interpretazione, grazie soprattutto all’ottima performance dell’ensemble dalla bella fusione timbrica e dalle magistrali prime parti.
Tutto un altro universo espressivo per la Lulu-Suite dall’omonima opera espressionista di Berg. E qui – occorre ammetterlo – la Hannigan, oltre a sfoderare la giusta vocalità per restituire la sordida e abietta bassezza del mondo evocato da Berg, abile nello sbozzare una figura amorale di femme fatale, ha giganteggiato anche come direttore, compiendo un eccellente lavoro di concertazione.
Da ultimo, ancora un cambio di registro, nonché, idealmente, un ulteriore mutamento di scenario geografico, dopo la Francia di Debussy e Fauré e l’universo tedesco. E dunque gli States di Gershwin e la pimpante Suite da Girl Crazy tutta dinoccolati ritmi (nel fascinoso arrangiamento di Bill Elliot, dalla policroma strumentazione). Attimi di suspense, orchestra schierata e pubblico in silenziosa attesa, ovvero tutti col fiato sospeso a domandarsi le ragioni per le quali il soprano-direttore tardava ad affacciarsi sul palco. Qualcuno, in riferimento alla vicenda del musical gershwiniano ambientato in un ranch in Arizona, già immaginava di vedere apparire da un momento all’altro la bella Barbara abbigliata da cow girl, novella Calamity Jane; e invece ecco che la Hannigan si è presentata invece rosso vestita, in una seducente e attillata mise, con tanto di gran fiocco sulla schiena a celare il trasmettitore elettronico del radio microfono; la sua voce di fatto non necessitava di amplificazione, e infatti taluno storceva il naso, pur tuttavia la faccenda trova giustificazione nel genere stesso. Gran trionfo e applausi protratti per tutti, al termine di una serata dai contenuti davvero interessanti e foriera di emozioni, nonostante l’insolita e ragguardevole lunghezza.