di Gianluigi Mattietti foto © Ulricshusen
Vilde Frang, dopo aver vinto nel 2010 il WEMAG Soloist Prize, è ospite fissa del festival di Mecklenburg-Vorpommern. Quest’anno è stata invitata come artista-in-residence, esibendosi in ben 18 concerti all’interno della grande rassegna musicale, che nell’arco di quattro mesi ha programmato ben 133 concerti, in diverse città del Land di del Meclemburgo-Pomerania anteriore. Alla Frang si sono affiancati solisti del calibro di Sol Gabetta, Hélène Grimaud, Christoph Eschenbach, Nigel Kennedy, Renaud Capuçon, e orchestre come l’Orchestre National de France, la Australian Youth Orchestra, Gstaad Festival Orchestra, Bamberg Symphony Orchestra, l’orchestra della Komische Oper, l’Akademie für Alte Musik di Berlino, l’Orchestra filarmonica di Amburgo. Un festival dunque dai grandi numeri. Ma ciò che lo rende davvero speciale è che i concerti non si tengono solo a Schwerin, capitale del Land, ma anche in altre città, in piccoli centri, in villaggi, in chiese e castelli, a volte in luoghi davvero alternativi, come granai, edifici industriali, tenute private, al centro aereospaziale di Neustrelitz, o nella fabbrica di Heringsdorf, la più antica fabbrica di sedie sdraio della Germana. Tutti i concerti, concepiti anche come lunghe maratone, eventi en plein air, pic-nic nei prati, esecuzioni itineranti, escursioni nella natura, sono organizzati in cicli tematici, sempre accompagnati da introduzioni, conferenze, conversazioni con gli artisti. E questa formula riesce a coinvolgere davvero il pubblico, numerosissimo, che si sente parte di un grande evento culturale, non semplice spettatore.
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Tra i week-end a tema, spiccavano quest’anno “360° Piano”, dove il pianista Igor Levit esplorava il mondo del pianoforte in un vasto repertorio che andava da Bach a Rzewski, intrattenendo il pubblico ed esibendosi insieme alla Deutsches Symphonie-Orchester Berlin e al clavicembalista Mahan Esfahani; o il ciclo “Greetings to the Universe” che chiamava a raccolta musicisti di ogni parte del mondo, dallIiran, all’India alla Mongolia, e mescolava insieme musiche tradizionali dei Balcani e sinfonie di Dvořák. Uno deli cicli più interessanti, e attrattivi per il pubblico, è stato il “Pavillon Moderne” che faceva parte di una serie più di ampia di “Padiglioni dei secoli” che ogni anno mirano a coinvolgere il pubblico intorno a stili e linguaggi di un determinato periodo storico, con un’ampia gamma di riferimenti alla letteratura, alla filosofia, alle arti visive. Pavillon Moderne si è tenuto nell’idilliaco castello rinascimentale di Ulrichshusen, nella sala del catello ma anche nella rimessa, nel fienile, nel parco, sul lago. E il pubblico ha potuto seguire una percorso davvero interessante sulla musica del XX secolo, con musiche che andavano da Schönberg e Bartók a Ligeti e Boulez, con stimolanti accostamenti tra la musica, l’arte, il cinema, la danza.
Un intero appuntamento è stato ad esempio dedicato al Sacre di Stravinskij, eseguito nella versione per pianoforte a quattro mani dai due fratelli olandesi, enfant prodige, Lucas e Arthur Jussen. L’esecuzione, dai colori così accesi che quasi non faceva sentire la mancanza dell’orchestra, era punteggiata da letture del libro 1913: L’anno prima della tempesta di Florian Illies (affidate alla voce di Martin Heckmann, attore molto noto in Germania per gli audiolibri), una serie di istantanee, suddivise mese per mese, che ricreavano il clima culturale di quell’anno pieno di premonizioni della Grande Guerra. E raccontavano di Marcel Duchamp alle prese con il suo primo ready-made, di Malevič che rifletteva sul «grado zero della forma», di Robert Musil che consultava un neurologo e prendeva appunti per il romanzo L’uomo senza qualità, di Kirchner che disegnava le cocotte di Potsdamer Platz, di Picasso e Matisse a cavallo insieme, di Ernst Jünger che si arruolava nella legione straniera, del giovane Hitler che dipingeva acquarelli. E di Igor Stravinskij che seguiva con apprensione le prove del suo nuovo balletto. Altri appuntamenti di Pavillon Moderne mostravano al pubblico lo stretto legame tra le esperienze musicali e quelle artistiche nel primo Novecento. Il pianista Jarkko Riihimäki ha eseguito pezzi di Schönberg accompagnati dalla lettura di alcune lettere con Kandinskij, e le musiche scritte da Satie per il film Entr’acte di René Clair, musica proto-minimal per un magnifico esempio di cinema dadaista. Si è visto anche il cinema cubista del Ballet mécanique di Fernand Léger, collage frenetico di immagini di gambe, scarpe, macchine, ingranaggi, figure geometriche, con le musiche di George Antheil.
Uno dei protagonisti di questa serie è stato il giovane Vision Streichquartett di Berlino, quattro ragazzi che hanno irretito il pubblico con il loro stile sbarazzino, anticonvenzionale, anche molto aggressivo, tecnicamente inappuntabile. Suonavano in piedi, tutto a memoria, proponendo un repertorio impegnativo, che andava dalle aforistiche, impalpabili Bagatelle di Webern (eseguite e analizzate nota per nota, e punteggiate da letture di alcune lettere tra Schönberg e Webern), al Quartetto n.1 di Alberto Ginastera dal dinamismo estremo, dai danzanti Fünf Stücke für Streichquartett di Erwin Schulhoff al Quartetto n.8 di Shostakovitch (anche questo analizzato dettagliatamente nella sua struttura tematica), dal Quartetto n.3 di Bartók (abbinato a un filmato sulla Berlino anni Venti) alla esilarante Ouvertüre dell’Olandese volante di Paul Hindemith, trascrizione ironica della celebre pagina wagneriana «suonata a prima vista da un’orchestra di second’ordine ad una stazione termale alle sette di mattina», dove i quattro musicisti si presentavano sbadigliando, malvestiti, quasi in pigiama. E Sul proscenio una custodia per violino aperta, dove il pubblico, divertito, cominciava a lanciare delle monetine.
Altro ospite d’onore del Pavillon Moderne è stato Kent Nagano, che dal 2015 è Chefdirigent dell’Opera di Amburgo, e che per il festival di Mecklenburg-Vorpommern ha impaginato due programmi davvero interessanti. Nel primo ha messo a confronto la Kammermusik op.24 di Hindemith e la Kammersinfonie op.9 di Schönberg, offrendo di entrambe una lettura molto trasparente, piena di energia, capace di passare da timbri acidi a sonorità morbide e cameristiche, evitando ogni pesantezza, creando zone espressive molto differenziate, come fossero scene di un’opera. Nello stesso concerto si sono ascoltati l’Histoire du soldat, eseguita con la medesima nitidezza di linee strumentali, il Poème symphonique per metronomi di Ligeti, e due capolavori della letteratura flautistica moderna, Syrinx e Density 21,5, interpretati con fluidità e grande precisione dal flautista Björn Westlund. Nel secondo concerto Nagano ha diretto la sinfonia Turangalîla di Messiaen (un’esecuzione grandiosa, piena di colori e di grande respiro sinfonico, nella quale si è fatta notare anche l’ottima pianista coreana Yejin Gil, da tenere d’occhio), insieme al Preludio e al Liebestod del Tristano, pezzi accomunati da relazione profonde: «Messiaen sosteneva che Turangalîla fosse il suo Tristano. Questo è il legame più evidente. Ma trovo anche che ci sia una relazione armonica tra il famoso accordo del Tristano, con la sua risoluzione cromatica, e il tema principale della Turangalîla, e sono sicuro che anche senza fare un’analisi questa relazione si percepisca all’ascolto». Nagano (che negli ultimi anni ha diretto nuove opere di Unsuk Chin, Jörg Widmann, Peter Eötvös, George Benjamin, Toshio Hosokawa, e molti lavori di giovani compositori come Samy Moussa, Sean Shepherd, Matthew Ricketts) è convinto che viviamo un periodo molto fertile per la composizione, con stimoli davvero originali. Anche per questo si è dedicato con passione al progetto Pavillon Moderne, intrattenendo il pubblico anche con alcuni divertenti aneddoti sui suoi incontri con Messiaen.
Tra le iniziative di Pavillon Moderne c’è stato anche un KuriositätenKabinett, che prevedeva l’esecuzione della celebre Ursonate di Kurt Schwritters (interpretata da Frauke Aulbert) e una passeggiata musicale nel parco del castello, con esecuzioni en plein air di due recenti pezzi per percussioni, affidati al Frantic Percussion Ensemble: Deconstructing IKEA del norvegese Amund Sjølie Sveenis, che investigava la ricchezza timbrica insita in oggetti di uso comune, come semplici piatti di Ikea (i più economici) che venivano suonati con delle bacchette e via via distrutti, letteralmente polverizzati; e Games for 4del tedesco Matthias Kaul, con i quattro giovani percussionisti che suonavano immersi fino alla vita nell’acqua del laghetto, sfruttando le varie possibilità di modulazione del suono offerte dal contatto degli strumenti con l’acqua. Ma più spettacolare che mai era la scena.
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