di Ruben Vernazza foto © Roberto Ticci
A PARMA si usa dire che il Parmigiano Reggiano sta bene con tutto: lo si trova negli antipasti, nei primi, nei secondi, perfino nei dolci. Fino a pochi anni fa al teatro Regio la musica di Verdi veniva utilizzata come il nobile formaggio: in dosi più o meno copiose faceva capolino in ogni cartellone. Per scongiurare indigestioni, da qualche tempo a questa parte la direzione del teatro ha puntato saggiamente su diete stagionali: Verdi è confinato nel Festival che porta il suo nome, mentre la tradizionale programmazione lirica ospita la musica di altri autori. Ad inaugurare il cartellone del 2017 è stato convocato Donizetti con la sua Anna Bolena, titolo che nella città emiliana mancava da una quarantina d’anni (la recita qui recensita è la seconda, tenutasi martedì 17 gennaio).
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Si tratta di un nuovo allestimento coprodotto dal teatro Carlo Felice di Genova, nell’ambito di un progetto che prevede la creazione dell’intero ciclo donizettiano “delle regine” (nel capoluogo ligure ha già visto la luce lo scorso marzo Roberto Devereux, mentre nel prossimo maggio esordirà Maria Stuarda). Le messinscene delle tre opere portano la firma di un’unica équipe, composta da Monica Manganelli (scenografia), Alfonso Antoniozzi (regia), Gianluca Falaschi (costumi) e Luciano Novelli (luci).
Il sipario si apre su una pedana nera rialzata di qualche gradino, che occupa quasi per intero il palcoscenico; a suggerire le diverse ambientazioni, che rimandano ad un generico universo gotico, sono arredi essenziali e proiezioni video sul fondale. I costumi anni Trenta creano un fecondo contrasto con le scene, anche se alcune scelte non pagano (perché assegnare a Smeton abiti femminili vagamente androgini, e fare di Giovanna una sosia di Jessica Fletcher?). La regia è tradizionalissima, e unisce buone intuizioni a qualche capitombolo. Ad esempio, immobilizzare gli astanti in un tableau vivant durante la cavatina di Anna è uno stratagemma non nuovo ma efficacissimo per rendere visivamente percepibile l’interruzione dello scorrere naturale del tempo, e svelare così (Carl Dahlhaus docet) una delle peculiarità della drammaturgia operistica, ovvero la differenziazione fra tempo rappresentato e tempo della rappresentazione. Di contro, il bacio fra Anna e Percy nel duetto del primo atto, non previsto dagli autori, riformula in modo sostanziale la caratterizzazione dei due personaggi, e crea così uno scompenso nell’equilibrio complessivo del dramma. A conti fatti, al netto di vari tentativi (alcuni velleitari) di stilizzazione modernista, la messinscena risulta alquanto convenzionale.
Anche dal punto di vista musicale si è optato per uno spettacolo conservatore. Lo attesta anzitutto la scelta di non servirsi della recente edizione critica curata da Paolo Fabbri: sopravvivono così tagli tradizionali, e la tinta musicale appare come di consueto piuttosto cupa, poco disposta a far trasparire le influenze rossiniane presenti nella partitura. Ciò non toglie che la qualità dell’esecuzione sia nel complesso soddisfacente. Fabrizio Maria Carminati è un direttore esperto ed autorevole: pur senza svelare tutte le finezze racchiuse nella partitura, sa condurre con sicurezza l’Orchestra Regionale dell’Emilia Romagna e il Coro del Regio (istruito da Martino Faggiani), e fornire appigli solidi a una troupe vocale ben amalgamata. Soprano dalla voce robusta, ottima nel registro centrale, Yolanda Auyanet affronta la lunga e complessa parte di Anna senza esitazioni, distinguendosi in particolare nelle pagine di più concitata drammaticità. Di ottimo mestiere la prova di Sonia Ganassi nel ruolo di Giovanna: rari i picchi, ancor più rare le sbavature. La splendida Martina Belli delinea uno Smeton appassionato, dal timbro corposo e omogeneo, mentre Giulio Pelligra fornisce a Percy una voce squillante, agile e facile agli acuti. Per quanto possa sembrare bizzarro, la parte di Enrico VIII viene suddivisa fra due interpreti: impossibilitato a cantare per un improvviso calo di voce, il titolare del ruolo Marco Spotti agisce muto in scena, mentre in un angolo del palcoscenico Riccardo Zanellato, convocato in zona Cesarini, intona la parte in abito borghese (con risultati, peraltro, più che soddisfacenti).
Alla calata del sipario gli applausi sono calorosi, ma fra palchi e platea i posti vuoti si contano numerosi. Del resto, si sa che i parmigiani sono cocciuti nel difendere i loro prodotti locali. Provate a dir loro che un ottimo Taleggio bergamasco può valere il Parmigiano Reggiano.
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